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Israel Joshua Singer (1893–1944)

Autore di I fratelli Ashkenazi

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Fonte dell'immagine: (Library of Congress Van Vechten Photographs LOT 12735, no. 1039)

Opere di Israel Joshua Singer

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Se siete di quei tipi che, con la calura estiva e le ferie, non si avvicinano manco morti a romanzi cupi e richiedenti un minimo di stato di veglia, state alla larga da A oriente del giardino dell'Eden. Ma annotatevelo da qualche parte per poterlo riprendere quando gli strali del caldo saranno cessati.

Sono, infatti, molto sorpresa dal constatare che questo romanzo ha avuto pochissimi lettori finora, almeno su Goodreads. È vero che Israel è stato messo in ombra dal fratellino premio Nobel, ma ultimamente ho visto furoreggiare La famiglia Karnowski e I fratelli Ashkenazi, quindi lo facevo un autore più letto.

Anche perché merita, ragazzi. Merita davvero. Singer è uno di quegli autori capaci di descrivere la condizione degli ultimi, senza moralismi o pietismi a inquinarne la resa. A oriente del giardino dell'Eden è un romanzo di aspettative deluse e amara rassegnazione, di lotte per innalzare la propria misera condizione e straziante disillusione. Fino ad arrivare al finale, segnato da un'immagine così dolorosa, ma al tempo stesso così potente da essermi rimasta in testa, tatuata a fuoco.

Ma, in generale, A oriente del giardino dell'Eden è un romanzo che ti rimane addosso, che non può lasciarti libero: è come se vi fosse racchiuso il grido di dolore di tutti gli oppressi del mondo. Di tutti coloro che vengono sfruttati e tenuti comodamente nell'ignoranza per poter essere sfiancati a piacimento.

In particolare, sono rimasta colpita dalla seconda metà del romanzo, incentrata sul fascino malsano suscitato nelle menti “eccitabili” dall'URSS. Ho trovato terribilmente attuale l'idea che si possa creare uno stato perfetto e che qualcuno possa addirittura avere come massima aspirazione quella di andarci a stare.

Io sono, invece, convinta che essere umano e perfezione non possano andare d'accordo (almeno a questo punto della nostra storia). La perfezione implica staticità, impossibilità di cambiare se stessi e il proprio destino; impossibilità di peggiorare, certo, ma anche impossibilità di migliorare. Chi mai potrebbe volere una simile condizione per se stesso e i proprio simili?

Lasciamo la perfezione ai moscerini della frutta e teniamoci stretta la nostra terribile e gloriosa imperfezione.
… (altro)
 
Segnalato
lasiepedimore | 2 altre recensioni | Sep 13, 2023 |
Questo è il primo volume dell'autobiografia di Israel Joshua Singer, fratello del più famoso Isaac Bashevis, scrittori nati in una famiglia ebraica nella Polonia rurale di fine ottocento e poi emigrati negli Stati Uniti. Sono i ricordi dei primi anni di vita di un ragazzino curioso e vitale, innamorato del mondo e della gente, insofferente delle aspettative dei genitori che lo vorrebbero pio e studioso, avviato sulla strada del rabbinato come il padre e il nonno. La vita nel villaggio (uno "shtetl") è raffigurata in tanti aspetti diversi: gli alimenti e i pasti, gli abiti, le case, il lavoro, i riti le festività e le preghiere, la sinagoga e il bagno rituale, la scuola religiosa, il ruolo del rabbino come capo della comunità, i ricchi e i poveri, i contrasti tra hassidim e ortodossi, i rapporti difficili con i gentili (i "goyim") e con le autorità, l'attesa del messia... Un ritratto colorito e vivace di un modo di vita tutto intriso e soverchiato dalle pratiche e dai riti prescritti dalla legge ebraica, un modo di vita che peraltro l'autore mette continuamente in ridicolo, anche se si tratta di un ridicolo delicato e affettuoso. E inoltre pieno di personaggi e situazioni bizzarri e persino strampalati, a volte tanto bizzarri e strampalati che mi vien da pensare che, sì, si tratta di memorie, ma deve esserci anche un po' di invenzione in tutto questo... Nel complesso mi è parsa una lettura che non ha nulla di profondo o di impegnativo, ma è comunque un piacevole ritratto di un tipo di comunità umana e di un modo di vita diversi e scomparsi.… (altro)
 
Segnalato
Oct326 | 1 altra recensione | Aug 18, 2021 |
La saga dei Karnowski comincia con David, il capostipite, il quale all'alba del Novecento lascia lo shtetl polacco in cui è nato, ai suoi occhi emblema dell'oscurantismo, per dirigersi alla volta di Berlino, forte del suo tedesco impeccabile e ispirato dal principio secondo il quale bisogna «essere ebrei in casa e uomini in strada». Il figlio Georg, divenuto un apprezzato medico e sposato a una gentile, incarnerà il vertice del percorso di integrazione e ascesa sociale dei Karnowski – percorso che imboccherà però la fatale parabola discendente con il nipote: lacerato dal disprezzo di sé, Jegor, capovolgendo il razzismo nazista in cui è cresciuto, porterà alle estreme conseguenze, in una New York straniante e nemica, la contraddizione che innerva l'intera storia familiare.… (altro)
 
Segnalato
kikka62 | 10 altre recensioni | Feb 4, 2020 |
Dai Buddenbrook a scendere ho sempre avuto una passione per le saghe famigliari. Vivere le storie delle famiglie nel tempo, scandendo la storia, è un modo per entrare, in punta di piedi, in mondi diversi. La famiglia Karnowski racconta la storia di tre generazioni di ebrei tedeschi all’inizio del secolo scorso. David Karnowski è un uomo di cultura e arriva a Berlino dalla Polonia. E’ un uomo colto ed intelligente e comprende subito la necessità di andare oltre gli stereotipi della cultura ebraica per integrarsi nella Germania di inizio secolo. La comunità dei figli d’Israele a Berlino è vivace ed è incarnata dall’operosità di Solomon Burak, un commerciante di successo. La moglie di David, Lea, rimane più legata alle sue radici, non parla bene il tedesco, non comprende le tensioni del marito. La coppia ha un figlio, Georg, curioso, intelligente ma poco disponibile a seguire le orme del padre. Si iscrive a filosofia, ma poi si innamora di una giovane dottoressa, Elsa Landau, ed inizia con successo gli studi di medicina. Diventa un importante ginecologo e si sposa con un’infermiera dell’ospedale dove lavora, Teresa, tedesca. Nasce così Jegor e la famiglia ha tutto per essere felice. Il problema è che Georg è ebreo ed è la Germania del delirio nazista e il primo a pagare il prezzo è il piccolo Jegor, umiliato a scuola dal maestro. Tutti i personaggi, in epoche diverse, si trasferiscono negli Stati Uniti, ma la salvezza dai campi di concentramento non allevia le tensioni ed i drammi nati in Germania. Chi paga il prezzo più alto è il piccolo Jegor, che non accetta di essere un ebreo, predica la superiorità della razza che vuole lo sterminio della sua razza. Un piccolo grande capolavoro.… (altro)
 
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grandeghi | 10 altre recensioni | Nov 5, 2019 |

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