E. C. Segar (1894–1938)

Rileggo con piacere braccio di ferro e mi fa fare qualche sorriso. Il momento è difficilissimo; mamma non sta bene, una pancreatite sta facendo danni; e la mia tristezza è vederla così fragile; e sapere che papà non mi aiuterà come fece quando esplose la tragedia di Ettore. Per fortuna ritrovo Stefano, con i suoi monosillabi e continui silenzi; ma servono anche quelli. E torniamo a Braccio di ferro; il marinaio di Segar è grande per la sua semplicità; la sua ignoranza fa sorridere, ma distende. Ed ottima la scelta delle storie di questo albo; prima in star reporter Popeye investe in un giornale e diventa cronista; lui che non sa scrivere, che non conosce altro che la sua ignoranza; ottima base, direbbe Socrate; ma non c’è filosofia, ma un cronista che picchia chi deve intervistare, e riesce a fare carriera, fino a diventare direttore; di un giornale diffuso in un paese in cui nessuno sa leggere; nella seconda storia, Popeye nella valle nera, il nostro marinaio si ammala di una strana malattia che gli fa credere di essere un cowboy; e così con pisellino inizia a girovagare per il paese, inseguito da spie del paese dove pisellino è nato; nella terza storia, la sorella della strega del mare o la fonte della giovinezza, braccio di ferro parte per un lungo viaggio con un magnate alla ricerca della fonte della giovinezza, imbarcato su una nave con due streghe; e nell’ultima storia, Susan l’orfanella, Popeye affianca una povera ragazza, difendendola a modo suo. Come detto la ricetta di Segar ha ingredienti semplici, quasi infantili; ma che hanno consentito a Braccio di ferro di diventare un icona non solo della nostra giovinezza.

Recensione del 06 ottobre 2009
Probabilmente è il primo fumetto che ho letto, da bambino. Partivo dai cartoni, a casa di nonna, la febbre, un bambino amato, coccolato. Non capivo cosa la vita potesse essere, la durezza, la violenza, la morte. Ma amavo braccio di ferro, la musichetta; prima di tutto braccio di ferro, ma poi anche Soldino, Tiramolla, Geppo. Lo rileggo dopo decenni, cerco ancora di sognare, ma il sogno si è rotto, per sempre, una maledetta mattina. E’ scomparso il gioco, la fantasia, si è spenta la gioia, la voglia. Rimane il rimpianto dei baci non dati, delle parole non dette. E rimane il ricordo di Ettore, mio grande, piccolo, adorato fratello. E Braccio di Ferro non me ne deve volere se non parlo, non scrivo di lui. Ma non posso. Ed anzi lo ringrazio per avermi dato l’opportunità di ricordarmi quel cartone, in quella stanza, con nonna, mamma ed il mio cuccioletto. Che senso di calore, in questo freddo glaciale.… (altro)