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André Schwarz-Bart (1928–2006)

Autore di L'ultimo dei Giusti

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Sull'Autore

Fonte dell'immagine: Wikipedia

Opere di André Schwarz-Bart

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The Jewish caravan : great stories of twenty-five centuries (1935) — Collaboratore, alcune edizioni129 copie
Los Premios Goncourt de novela, Vol. 6 (1974) — Collaboratore — 5 copie

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Informazioni generali

Nome canonico
Schwarz-Bart, André
Nome legale
Szwarcbart, Abraham
Altri nomi
Schwarz Bart, André
Schwarz-Bart, André
Data di nascita
1928-05-23
Data di morte
2006-09-30
Sesso
male
Nazionalità
Frankrijk
Luogo di nascita
Metz, Frankrijk
Luogo di morte
Pointe-à-Pitre, Guadeloupe
Luogo di residenza
Metz, France
Guadeloupe
Oléron, France
Angoulême, France
Istruzione
The Sorbonne, Paris, France
Attività lavorative
novelist
Relazioni
Schwarz-Bart, Simone (wife)
Organizzazioni
French Resistance
Premi e riconoscimenti
Jerusalem Prize (1967)
Prix Goncourt (1959)
Breve biografia
André Schwarz-Bart was a French novelist from a family of Polish-Jewish origin. In 1941, his parents and brothers were deported to Auschwitz. Soon after, Schwarz-Bart, who was only a young teenager and barely spoke French, joined the Resistance. Later he worked as a manual laborer and taught himself to read and write French from library books. His experiences as a Jew during the German Occupation of World War II informed his great work, considered one of the greatest books of the Holocaust, The Last of the Just (Le Dernier des justes, 1960). It follows a Jewish family from the time of the Crusades to the death camp of Auschwitz.  Schwarz-Bart lived the final years of his life in Guadeloupe with his wife Simone.

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Recensioni

"Da quando ho cominciato a scrivere, il mio sogno è stato di poter trattare un argomento come quello di L'ultimo dei Giusti. Ma per molto tempo non ne ho avuto il coraggio. Non voglio dire che pensassi di non averne i mezzi, voglio realmente dire che non credevo di avere il diritto di scrivere un libro come questo." (fonte: Google Books)
 
Segnalato
MemorialeSardoShoah | 20 altre recensioni | May 11, 2020 |
"Da quando ho cominciato a scrivere, il mio sogno è stato di poter trattare un argomento come quello de L'ultimo dei Giusti. Ma per molto tempo non ne ho avuto il coraggio. Non voglio dire che pensassi di non averne i mezzi (anche se più d'una volta ho provato questa sensazione): voglio realmente dire che non credevo di avere il diritto di scrivere un libro come questo.
"Vi ho dedicato quattro anni. Il libro ha avuto cinque versioni, tutte molto diverse tra loro, o per contenuto o per costruzione, o per la traiettoria che esse delineavano. Originariamente, la prima versione era limitata ai tempi nostri, cioè a ciò che avevo visto di persona. E poi, a poco a poco mi sono reso conto che per cogliere appieno un personaggio ebraico, bisognava far uso d'altri mezzi. Bisognava far intervenire un'altra dimensione, una dimensione storica.
"I rapporti fra il romanzo (che è uno strumento di apprensione del mondo) e il mondo stesso cambiano. Ai tempi di Balzac, per esempio, bastava situare un essere umano in un ambiente. La psicologia era - per così dire - consustanziale all'ambientazione. C'è rapporto tra la poltrona del cugino Pons e la psicologia del cugino Pons.
"Oggi invece il problema si pone diversamente. Ma la questione è anche più 'scottante' quando si tratti di personaggi ebraici, non soltanto perché un personaggio ebraico esprime i problemi del tempo, le difficoltà del tempo, ma anche perché è difficile definire un essere ebraico in un momento dato, giacché non esistono in rapporto né un ambiente dato, né un territorio particolare e neanche una tradizione chiara. Non c'è che una specie di continua deambulazione attraverso l'Europa e attraverso il tempo; né ci si può contentare di mettere mano esclusivamente agli ultimi anelli della catena, perché in sé tali anelli non significano nulla e il personaggio singolo può addirittura non sapere d'essere l'anello d'una lunga catena. Questa considerazione mi ha dunque condotto a risalire nel tempo. Scrivere questo romanzo è stato per me, se volete, una vera e propria avventura. Strada facendo mi sono accorto che a questa catena storica bisognava aggiungere un filo spirituale che desse una definizione della storia ebraica, perché senza questo filo spirituale la storia ebraica è incomprensibile. Ciò mi ha portato a risalire al medioevo e a strutturare spiritualmente il romanzo con la leggenda dei Giusti. La leggenda dei Giusti fonde insieme, per così dire, due necessità: quella di dare al libro, sul piano della struttura formale, un filo storico, romanzesco, lineare; e la necessità di conferirgli una 'direzione' spirituale.
"Mi si è mossa l'accusa di aver plagiato quindici righe da un racconto dello scrittore yiddish Mendele Mochèr Sefarìm e di aver utilizzato documenti sui campi di sterminio. Alla prima accusa rispondo che non sono nato nel 1185, l'anno da cui inizia il racconto de L'ultimo dei Giusti, non ho mai conosciuto la Polonia chassidica, né la Germania hitleriana. Ho cercato di rivivere tutto questo leggendo, accumulando una quantità di appunti. Ora mi vedo accusato di plagio. Ma se fossi stato un plagiario 'cosciente e organizzato' avrei certamente saputo rimaneggiare e dissimulare meglio le fonti delle mie informazioni. A proposito del secondo punto d'accusa, non ho niente in contrario ad ammettere di aver utilizzato direttamente l'opera di Poliakov, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, e quella del mio caro e vecchio amico Michel Borwicz, Écrits des condamnés à mort sous l'occupation allemande. Nell'uno e nell'altro caso, si tratta di documenti. Io non sono stato in campo di sterminio. Non ho visto con i miei occhi la 'selezione' dei condannati. Si trattava di dimostrare il carattere storico di quei fatti, mal noti comunque al gran pubblico. Ma non è certo nell'inserire tali testimonianze dirette nel mio libro, che io ho avuto degli scrupoli. Anzi, gli scrupoli mi sono venuti quando si trattava di inventare, di proseguire la narrazione romanzesca, di rivivere quei fatti per mezzo dei personaggi del romanzo. Da principio, avrei voluto fermarmi al campo di Drancy: e poi ho sentito la necessità assoluta di seguire il mio eroe fin nella camera a gas. Quelle pagine sono state scritte in una specie di delirio, perché se mi sentivo appunto autorizzato a far storia, a riprodurre brani di testimonianze di deportati, una sorta di orrore sacro mi impediva di 'fare della letteratura'. È per questo che, quando la finzione romanzesca cedeva il passo alla storia dei campi di sterminio, io ho lasciato, fin dove m'era possibile, quelle testimonianze allo stato bruto. Centinaia di libri sono stati pubblicati sui campi di concentramento. Avrei potuto amalgamare le varie descrizioni della 'selezione,' rifonderle in una maniera romanzesca. Ma non mi sentivo proprio il diritto di 'fare della letteratura', a quel punto. Chi è ebreo, mi capirà."
André Schwarz-Bart
… (altro)
 
Segnalato
BiblioLorenzoLodi | 20 altre recensioni | Feb 13, 2015 |

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