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Tom Savage

Autore di Valentine

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Telephone 15 — Collaboratore — 1 copia

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Sorprendente opera prima (in breve diventata bestseller mondiale) di un americano che prima di diventare scrittore ha fatto di tutto, dal professore di filosofia al pescatore. Dopo aver letto un’entusiastica recensione di Citati su Repubblica (“marchetta”?), mi sono subito incuriosito per una storia raccontata in prima persona da un topo, appunto Firmino. La storia si svolge in un quartiere fatiscente di Boston prossimo alla distruzione. Firmino nasce insieme ai suoi fratelli in un deposito di libri, in una cova scavata dalla madre partoriente nel Libro dei libri, il Finnegans Wake. Tale luogo di nascita, se rimane del tutto indifferente ai fratelli e sorelle, diventa un destino per Firmino, topo letterato che in breve divora intere biblioteche, metaforicamente. Se sogna di vivere da letterato, per vivere Firmino è costretto a strisciare per gallerie sotterranee, lungo canali di scolo, col terrore di venir acchiappato o schiacciato, attraverso tombini per rubacchiare in pozze disgustose, o in un cinema , del cibo (sempre troppo poco) per sopravvivere. Ma la sua vita vera è quando legge e sogna, quando vive attraverso i libri. Cacciato come tutti i topi dagli umani, per due volte Firmino incontra umani dei quali s’innamorerà. Il primo è il padrone della libreria, Norman, che Firmino osserva da un buco nel soffitto, da cui legge non visto il giornale, il Boston Globe. Prova a stabilire dei contatti con lui facendogli trovare sulla scrivania dei doni, ma presto abbandona il tentativo. C’è un momento topico in cui Norman lo vede, un incontro di sguardi attraverso il riflesso nel caffè. Sembra amore vero, o almeno così lo immagina Firmino che però viene presto deluso da Norman che mette nei buchi strane e attraenti caramelle verdi alle quali Firmino sopravvive per un pelo. Questo tradimento gli spezza il cuore e inclina ancora più al nero il carattere già melanconico di Firmino. Poi incontra un altro umano, scrittore quasi clochard che lo porta a vivere con sé nel suo appartamento topaia.
Intriso dal principio alla fine in un’atmosfera dark, con alcuni momenti di una tristezza straziante, Firmino non è un capolavoro, spesso troppo letterariamente ricercato e compiaciuto. Talvolta sembra un gioco borgesiano di citazioni, dentro citazioni, ma è scritto magnificamente con alcuni momenti che ti si piantano nel cuore. Il punto di vista di Firmino è indubbiamente quello di un topo umanizzato, e dunque emarginato, (il rovescio di quello che sarebbe un “uomo topizzato”) con uno sviluppo abnorme dell’emisfero cerebrale sinistro, con un grande testone e un corpo fragile che certamente non lo aiuta nella lotta per la sopravvivenza, ma che è stato ciò che lo ha anche reso straordinariamente intelligente. Un emarginato dalla società dei topi che non conoscerà mai l’amore se non quello per le ballerine e le attrici che vede sullo schermo di un cinema dove va di soppiatto a raccogliere i popcorn e a guardarsi i film di notte, tra umani emarginati come lui.
Ma la fratellanza interspecifica non scatta, il disgusto ha la meglio. Non casualmente l’unico che gli vuol bene, anche se non lo capisce fino in fondo, è proprio uno scrittore che vive come un clochard.
… (altro)
 
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pauleluard |

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