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Opere di Daniela Ranieri

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Ranieri, Daniela (2013). AristoDem: Discorso sui nuovi radical chic. Firenze: Ponte alle Grazie. 2013. ISBN 9788862209809. Pagine 275. 11,99 €

Ho già raccontato del mio incontro fortuito con Daniela Ranieri, il cui Tutto cospira a tacere di noi aveva causato in me attrazione e ripulsa. Forse, nelle mie note di lettura la ripulsa traspariva più dell’attrazione, tanto che l’autrice aveva sentito il bisogno di entrare in contatto (virtuale e digitale) con me. Mi pare ci fossimo chiariti, ma poi il dialogo si è interrotto. Il nostro scambio epistolare si era svolto su anobii, perché wordpress per qualche capriccio misterioso aveva fatto sparire il commento di Daniela Ranieri.

Adesso Daniela Ranieri ha scritto un capolavoro, ha sfoderato un enorme talento, ha trasformato, con un salto alla Fosbury, quello che avevo considerato un difetto, o meglio un eccesso – ”[u]na scrittura che non so meglio definire se non barocca (o forse rococò), comunque gonfia come un torrente ingrossato” –, in un’arma micidiale.
Mi ha fatto pensare molto ad Arbasino (peraltro più volte citato), ma anche a Gadda e a Flaubert: perché Daniela Ranieri non descrive i suoi personaggi con distacco, ma li odia visceralmente e lucidamente (non c’è nessuna contraddizione) come ci si odia tra persone che si sono amate. [Non ho citato Flaiano (altri l'hanno fatto) perché di Flaiano mi pare di avere letto soltanto Tempo di uccidere, che è il suo unico romanzo e pertanto del tutto eccentrico rispetto alla sua produzione di sceneggiatore, giornalista, umorista, critico cinematografico, drammaturgo e specialista in elzeviri, come lo cataloga Wikipedia.]

Leggetelo, il libro: vi divertirete un sacco e non riuscirete a smettere di leggere, anche se non è certo un thriller. Non è nemmeno un romanzo, per la verità, e forse nemmeno un saggio o un pamphlet: è un po’ di tutto questo e sfodererei gli orridi neologismi infotainment e docufiction, se non fossi sicuro di attirarmi in questo modo i giustificati strali di Daniela Ranieri. Anche se non frequentate le terrazze romane, non avrete difficoltà a riconoscere gli aristodem: li riconoscerete in qualche collega, nelle chiacchiere sentite per caso in treno o in metropolitana, nel chiacchiericcio televisivo e radiofonico.

Milanese un po’ orso, trapiantato a Roma da 35 anni e più, io le terrazze non le ho frequentate e non le frequento (se non quella memorabile dell’omonimo film di Scola, popolata da Mastroianni, Tognazzi, Gassman, Trintignant, Reggiani e Satta Flores), senza ripensamenti e senza rimpianti. Forse adesso con un rimpianto piccolo piccolo: avrei potuto incontrare Daniela Ranieri e scambiare con lei – di fronte a una boiata più sesquipedale delle altre – un piccolo sguardo d’intesa, trattenendo a stento una risata.


«Mario, ma che cazzo dici?»
«Boh, che ne so?»

* * *

Qualche assaggio di questo menu sontuoso ma ipercalorico (riferimenti alle posizioni Kindle):

[…] dal Libano al Labaro […] [232]

[…] Artisti del Possibile, Teatranti dell’Irrappresentabile, Filosofi del Pene, Antropologi della Negritudine, Relitti della Società elevati a Poeti patrii, figli di Ambasciatori di reami mai sentiti nominare, Signore borghesissime in tutto tranne che nell’esserlo, Pittori degli stracci e del sangue, Scultori del Vuoto, Performer dell’Anzi, Scarificatori del Coerente, Videoinstallatori ciechi, Suondesigner monchi, Atleti murali, Dervisci della spatola, Aedi del Rutto, Coltivatori del Diretto, Idraulici del Neon, Incisori della Psiche, Artigiani dell’Industriale, Fiancheggiatori del Nonostante, Operai dell’Aura, Miscelatori dell’Alto e del Basso col Medio, il Mistico, il Promiscuo, il Triviale, Niente […] [392]

[…] (disagio diegetico) […] [439]

Sono anche io un’intellettuale di sinistra? […] Per il fatto che conservo i biglietti del cinema nella moleskine, lo sono. [445-446]

[…] a un certo punto, ogni mio silenzio apparve a loro ostilmente diretto: perché non assumevo, già che c’ero, le loro opinioni in sostituzione delle mie? [501]

Io credo che in questo disprezzo abbiano ragione, ma per i motivi sbagliati. [632]

«[…] Il fatto è che il padre è gelosissimo di lei, e pensare che non è neanche il padre». [685]

La fotografa (informatissima!) era in solluchero: «Chopin, che meraviglia! Vabbe’, i francesi sono i francesi». E lui: «Per me la musica finisce con Monteverdi. Giusto qualcosina dei Radiohead…» [1824]

La forsennata ricerca estetica termina nell’anestesia. [1650]

«[…] Salomone, il fratello di Annacqua […]» [1679]

[…] palazzetto settecentesco di Piazza Bologna. [1800: quanto meno improbabile]

[…] estintori della coscienza […] [1801]

«Piacere» ho fatto, e lei: «Lo credo». [2372]

Il coito è una cosa che fanno tutti, la maggioranza ha sempre torto, perciò il coito è sbagliato. È conformista, capite. [2423]

[…] reg-rep-ressiva […] [2563]

La risposta è: perché la cultura è egemone. Perché viviamo in un’epoca post-imperialista, dove il post non annulla ciò che viene dopo il trattino, anzi. È il motivo per cui se parliamo di musica parliamo di Bach, Mozart, Beethoven, Wagner, e non di uno sconosciuto per quanto bravo suonatore di tamburi del Burkina Faso. Ad essere in crisi, signori, non è l’economia: è la cultura! [2695]

Sono desolata, ma non ne me la sento di vedere Fontana. Mi sento troppo coinvolta nel tagliuzzamento, capisci, e non in un senso politico ma biografico. Ho la carne fessurata dalla necessità. [2994]

Conosco professori universitari da dodicimila euro (dichiarati) che scrivono libri di successo sulla necessità di rallentare i ritmi lavorando tutti al massimo tre ore al giorno e dedicandosi a quell’ambito della cura di sé contrapposto all’alienante negotium (ci mettono 600 pagine a spiegare come questa distinzione sia oggi ancora validissima, come gran parte delle invenzioni dei romani, peraltro). Per scrivere libri simili hanno lavorato per sette otto mesi quasi tutti i pomeriggi dalle tre alle quattro, durante l’orario di ricevimento studenti, le cui tesi hanno fornito peraltro ottimi spunti. [3048: è ho un'idea ben precisa di chi possa essere]

(«Tale scendeva l’etternale ardore»). [3101: è l'Inferno di Dante]

* * *

Ma la vera pièce de résistance secondo me è questa. Gustatevela bene, ma senza fare indigestione (un consiglio: leggetelo ad alta voce, per apprezzarne il ritmo).

«Ho appena visto Salina in chiesa», fa Luciana a Glauco che sminuzza la marijuana nell’aprutino, una sua rivisitazione di una ricetta che ha imparato nelle prigioni di Cuba. «Sapevi che ha aperto questo agriturismo sulla A24 all’altezza di Celano? Fanno un miele di parietaria che è una cosa. Alle pareti ci sono acquerelli di Similaun che ritraggono la patata di Avezzano tra i grattacieli di San Francisco». «Me lo ha detto Sauro, ma loro avevano già tentato, mi pare: hanno chiuso perché la gente non capisce un cazzo. Poi Salina adesso sta con questo post-performer sudafricano, che potremmo invitare a una nostra terrazzata come feticcio della nostra nostalgia imperialista. Naturalmente sono *ironico*». Luciana infatti si è messa a ridere. «Ancora mi stai all’Africa. ‘Un mio amico Etiope’», fa citando Ecce Bombo; «no, guarda, per dirti quanto siamo avanti noi donne: adesso al Corviale ci stiamo concentrando su come fare della porchetta una metafora dell’abuso del corpo della donna».
Risate. Luciana tira fuori il piattone-barca col sushi di carne; in ciotoline di smalto nero ci sono tre tipi di salsa di ’nduja. «Io mangio solo lattuga e bevo acqua, è tutto per voi». «Lucià» fa Glauco «ma se ti devo dire la verità un po’ mi manca quella bella cucina ebraica che facevi una volta, quei bei carciofoni fritti ché manco da Giggetto al portico d’Ottavia l’ho più magnati così…»
«Ah!», fa Luciana rivolta a me, «a proposito, Chi’: ho scoperto di recente che posso trovare il jhal muri, ti ricordi lo mangiammo da zio?, anche a Hampstead Heath, la collina a nord di Londra: basta imbattersi nella cucina-camper di Angus Denoon. E poi: un giorno ero a Calcutta con amici, e non ti vado a incappare di nuovo in Angus Denoon! Ho captato subito il profumo. Ti ci devo portare».
In quello arriva Froidiana coi piattini old-british con dentro la burrata. Il ponentino le arruffa i capelli tinti con henné di Tangeri: «Sempre di mangiare, parlate? L’anoressia rituale del corso di Teatro del Crudo non v’ha insegnato niente?»
Glauco la ignora, e comincia ad aggirarsi in cerca della birra dei monaci trappisti di Aversa. Luciana mi fa: «Dai davvero, perché non vieni un giorno? A questo corso di cucina cecena al Corviale?, siamo tutte donne, si tiene ogni volta che qualcuna ha il mestruo: vorremmo arrivare a sincronizzarci sul ciclo di Beatrice Cenci, anche per vederne l’effetto sulla panna acida. Dopo scrivi la data delle tue cose sulla lavagna in cucina».
«Magnifico, vieni, dai» ha fatto Froidiana «ogni prima domenica del mese facciamo i ravioli sociali in questa spianatoia vicino la fontana pubblica a Tagliacozzo, ognuno porta il suo ripieno; io la prossima volta pensavo di portare questa composta di mele e origano che fa questo collettivo di uxoricidi a Regina Coeli. Peccato che tu non puoi venire, Gla’». «Eh, no» ha fatto lui «io comunque la prima domenica del mese c’ho il pic-nic wagneriano a Subiaco, c’ho…»
«Sul Monte Amiata c’è un alimentari buonissimo» ha ribattuto saggiamente lei.
Tutto trafelato, è arrivato Antiloco: «Scusate il ritardo, ero a una riunione dei municipi fasci». Ha baciato tutti in bocca e poi è entrato nella sala della musica a posare il piumino di gallina, così non ho sentito che diceva. Intanto Luciana diceva non so di chi: «Il sushi *alla vaccinara*. Capisci? È un genio». Poi ci siamo messi *a tavola*: abbiamo acceso le candele e abbiamo tutti chiuso gli occhi in segno di rispetto per i detenuti per reati politici. Abbiamo mangiato di un bene, tutto a base di piatti a km 0 cucinati dalla cuoca personale di Luciana, che ha reinterpretato la cucina romana, essendo filippina.
Come al solito, Glauco e Lalla si sono messi a litigare sui prodotti di origine controllata e di origine protetta.
Luciana, con un’espressione di sereno disprezzo, li ha messi a tacere: «Certo, voi siete ancora al D.o.p. e al D.o.c.! Ntz. Guardate: un collettivo che si chiama Orgoglio Pugliese e che ho invitato a fare lezione ai ragazzi sta ristrutturando tutta una serie di masserie in cui fanno parmigiano di latte materno per i bambini delle donne del luogo! Praticamente la patria diventa matria, capite? Altro che D.o.c.! È molto risorgimentale». Lalla provò a dire che anche loro eccetera, che l’anno scorso eccetera, e con una semplice tessera dell’Arci poteva avere accesso a tutto l’archivio segreto delle pratiche sessuali vaticane, ma Alesio si impose: «L’alimentazione è tutto. Ora noi stiamo provando con questa dieta a base di ricette etrusche…» Luciana allora, diciamo per quel sano agonismo che rendeva attuale la sua sterminata cultura, fa: «Ah, prima che dici qualcosa: noi lunedì prossimo andiamo a fare pasquetta in questa fattoria dove insegniamo alle ex detenute per terrorismo a fare le crespelle zucca carciofi e vaniglia al suono del Pierrot Lunaire di Schönberg», poi si volta verso di me e fa: «È sempre nell’ambito di questo corso di cucina atonale in cui cerchiamo di ricreare il sedano assoluto». [834-871: il sedano assoluto è sublime]
… (altro)
 
Segnalato
Boris.Limpopo | Apr 29, 2019 |
Ranieri, Daniela (2012). Tutto cospira a tacere di noi. Firenze: Ponte alle Grazie. 2012. ISBN 9788862204415. Pagine 364. 11,99 €

Diciamo subito che è il più bel titolo che mi sia capitato di leggere in tempi recenti, ed è stata la molla prima per comprare il romanzo. La seconda è stata che mi trovavo nella tentacolare metropoli di Luxembourg City, con mezzo pomeriggio piovoso da passare nella stanzetta di un grigio albergo anni Settanta arredato con mobili di Ikea (però devo ammettere che la classica poltroncina Poäng è proprio comoda per leggere).

Il terzo, e più banale, è che ho fatto un giretto sul web e la storia prefigurata nella 4³ di copertina (che sia maledetta, quante fregature mi ha dato) mi sembrava affascinante (e me l’aspettavo anche un po’ romantico/erotico/thriller, il che in viaggio non guasta).

Quando Luigi Trevor, ex promessa della fisica, ora membro del collettivo di «sovversione informatica» Nuclei Digitali Dissidenti, riesce a farsi assumere dalla società di comunicazione Fantasy Mix con l’intento di sabotarne i legami con le multinazionali della repressione, viene assegnato alla postazione di quella che ribattezzerà «Arianna», ex ricercatrice universitaria e impiegata dell’azienda, improvvisamente scomparsa. Frugando fra i documenti – lettere, pagine di diario, riflessioni, persino una bozza di romanzo – che riesce miracolosamente a ripescare dal suo computer, Trevor s’innamora perdutamente di Arianna – figura indimenticabile di intellettuale e amante, ironica e tragica – e si lascia guidare da lei alla scoperta delle connessioni criminali della Fantasy Mix. Attraverso la porta stretta di una complicità rivoluzionaria e di un’adorazione amorosa che mai potranno essere ricambiate, Trevor vincerà la sua battaglia ma arriverà a perdersi – definitivamente? – e Arianna, forse, a ritrovarsi. Storia d’amore fra le più intense e colte della nostra letteratura recente, noir politico, riflessione acuminata e irridente sul lavoro precario e sul culto della Rete, Tutto cospira a tacere di noi è la rivelazione di una vera scrittrice, fra i non molti oggi in grado di restituire alla letteratura – con mezzi attualissimi – la sua capacità pienamente moderna di reinterpretazione del mondo.

Certo che se Daniela Ranieri il blurb se l’è scritto da sola, come spesso accade, quest’ultimo periodo non la dovrebbe lasciare tranquilla la notte. Rileggiamolo insieme: “Storia d’amore fra le più intense e colte della nostra letteratura recente, noir politico, riflessione acuminata e irridente sul lavoro precario e sul culto della Rete, Tutto cospira a tacere di noi è la rivelazione di una vera scrittrice, fra i non molti oggi in grado di restituire alla letteratura – con mezzi attualissimi – la sua capacità pienamente moderna di reinterpretazione del mondo”.

Sono rimasto deluso? Direi di sì, per i motivi che cercherò di spiegare. Ma Daniela Ranieri mi sembra comunque una voce nuova, consapevole, onesta, con delle cose da dire, e quindi mi guarderò bene dal criticare troppo severamente il suo romanzo.

Cominciamo dal titolo e dalla 2ª Elegia duinese di Rainer Maria Rilke:

Und alles ist einig, uns zu verschweigen, halb als
Schande vielleicht und halb als unsägliche Hoffnung.

E tutto cospira a tacere di noi, un po’ come si tace
un’onta, forse, un po’ come si tace una speranza ineffabile.

Per trovare la citazione, ho ripreso in mano la mia copia dell’edizione Einaudi del 1978, nella classica Collezione di poesia, e ho (ri)scoperto con emozione che mi erano state regalate da M., con una dedica e un’epigrafe, nell’aprile del 1981, 31 anni fa. E mi sembra significante (anche se so che non lo è) che proprio la seconda elegia sia forse quella più legata al tema dell’inattendibilità (come dice Alberto Destro nella sua Introduzione) e comunque alla deperibilità dei sentimenti:

Gli amanti potrebbero, se sapessero come, nell’aria della notte
dire meraviglie. Perché pare che tutto
ci voglia nascondere. Vedi, gli alberi sono, le case
che abitiamo reggono. Noi soli
passiamo via da tutto, aria che si cambia.
E tutto cospira a tacere di noi, un po’ come si tace
un’onta, forse, un po’ come si tace una speranza ineffabile.

Amanti, a voi, placati l’uno nell’altro,
io domando di noi. Voi vi avvincete. Ne siete sicuri?
Guardate, mi accade che le mani mie s’accorgano
una dell’altra, o che il mio volto
consunto in esse si riposi. È un po’ di
sensazione. Ma per questo soltanto chi oserebbe già essere?
Ma voi che nell’estasi dell’altro
crescete, finch’esso, vinto,
vi supplica: non più –, voi che sotto le carezze
vi diventate più prosperi, come annate di grappoli;
voi che se venite meno talvolta, è solo perché l’altro
prevale del tutto: io vi domando di noi. Lo so,
vi toccate beati così, perché la carezza trattiene,
perché non svanisce quel punto che, teneri,
coprite; perché in quel tocco avvertite
il permanere puro. E l’abbraccio, per voi, è una promessa
quasi d’eternità. Eppure, dopo lo sgomento
dei primi sguardi, e lo struggersi alla finestra
e la prima passeggiata fianco a fianco, una volta per il giardino,
amanti, siete amanti ancora? Quando vi sollevate
per porvi alla bocca l’un l’altro –: bevanda a bevanda:
o come stranamente bevendo sfuggite a quel bere.

Altri elementi a favore:

La struttura del romanzo è interessante. Il protagonista Luigi scopre e recupera dal portatile ereditato al lavoro i file di “Arianna” (il famoso “file di Arianna”: capita l’arguzia di Daniela Ranieri o di Luigi Trevor o di entrambi?), che l’aveva avuto prima di lui, e li riporta all’interno del suo testo. Riporta anche un romanzo incompiuto scritto da Arianna (al tempo t-1, se il tempo t è quello in cui scrive Luigi). A sua volta Arianna scrive le note al testo di Luigi (evidentemente al tempo t 1 – ma forse questo è uno spoiler).
Daniela Ranieri ha letto molti libri (immagino) e il gioco delle citazioni (che Luigi non esplicita ma Arianna riprende in nota) è godibile.
Ci sono alcune invenzioni linguistiche che ho trovato divertenti. La mia preferita è: “pensieri frattemporanei” [posizione 87 dell'edizione Kindle].

Sull’altro piatto della bilancia, a sfavore:

Una scrittura che non so meglio definire se non barocca (o forse rococò), comunque gonfia come un torrente ingrossato, che mi piacerebbe attribuire alla giovinezza del protagonista Luigi Trevor. Se non fosse che anche Arianna (dei file) scrive esattamente allo stesso modo. Allora, mi sono detto, è Daniela Ranieri che scrive così. No, perché Arianna in quanto autrice del romanzo in bozza Domini scrive in modo completamente diverso (e più gradevole, per me, ma questa è un’opinione del tutto personale e soggettiva).
Il romanzo avrebbe avuto bisogno dei consigli di un buon editor (ma Ponte alle Grazie è un editore piccolo, che forse non può permetterselo) che avrebbe evitato alcune lungaggini e almeno una svista imbarazzante, come “complementarietà” [372, ma alla posizione 4828 si trova, correttamente, "complementarità"].

***

Ci sono comunque molti passi godibili. Il riferimento è come di consueto alle posizioni sul Kindle:

C’è anche da dire che qui da noi le cose arrivano solo per sentito dire, e che i media, ormai inzuppati della semicultura d’impresa veicolata dal Presidente, balbettano pattern culturali globalizzati, provenienti per lo più da Stati Uniti e Occidente ricco, cioè da paesi rispetto ai quali il nostro è almeno diversamente progredito. [662]

Ogni tanto, passa un capo. È uno di noi: è vestito come noi, parla come noi, usa il turpiloquio sia quando è allegro sia quando qualcosa lo ha irritato. Al contrario del Padrone della Fabbrica, che vuole essere solo obbedito, egli vuole essere amato. [962]

[…] una scontentezza culturale prima che sociale, sia rispetto al luogo e alle persone che era costretto a frequentare sia rispetto all’attività che svolgeva, in un contesto di entusiasti schiavi. [1076]

[…] non sono fornitori d’opera ma prosumer… un caposaldo della narrazione postmoderna della conoscenza condivisa. [1236]

[…] io sto esattamente nel mezzo tra la fonte della comunicazione e l’utente finale, a cui mostro la faccia perché alle spalle ho il capo, o i capi, che a loro volta danno il culo al capitale. [1455]

Nulla è più catastrofico di due idiosincrasie che s’incontrano, dico.
Sorride: Klossowski. [1987]

Non mi accarezza, mi tocca. Non sfiora, preme. Controlla. Conta. Mi conta. Le vertebre, le ossa che emergono sottopelle, sotto il vestito. [2147]

Sono una parte di quella forza che vuole dormire e invece è costretta a vegliare. [2337: è una citazione/riformulazione di Goethe/Bulgakov]

Durante i cinque anni della mia permanenza in quel gallinaio di nientificazione che era l’Università romana, era tutto un pullulare di aperitivi, colazioni, pranzi di statement, brunch, apericene, talking, merende operative, avanzamenti informali. [2512]

Le riunioni, chiamate preferibilmente small talks per il loro carattere che doveva essere informale ma produttivo, si trasformavano progressivamente in colossali perdite di tempo […] Ognuno dei partecipanti aveva con sé il portatile, formalmente per prendere appunti, simbolicamente per condividere la stessa linea oltre a quella di connessione, realmente per farsi gli affari propri, pratica che i migliori di noi chiamavano multitasking. [2743-2750]

[…] credo che l’amore finisca nel momento in cui pisciando si riesce a pensare a qualcuno senza interrompere il flusso […] [2841]

La fabbrica è esplosa, e noi stiamo lavorando su frammenti, su zattere di macchine che nel frattempo si sono immaterialmente (attraverso le reti) e materialmente (attraverso la finanza) connesse tra loro, allontanandoci sempre di più tra noi e da noi. Il cronometro della fabbrica è stato sostituito dalle statistiche, il cui potere veridittivo è schiacciante, copre ogni individualità, affossa ogni tentativo di dare un’impronta qualitativa al proprio operato: è una forma molto complessa di dittatura dell’audience. Non è la popolarità dei contenuti, come in TV, a decretarne il successo: entrano qui in gioco fattori del tutto arbitrari ed effimeri, che non si dispongono per frequenze o in base a variabili fisse e riconoscibili. Il popolo del web non può essere fidelizzato nelle maniere classiche: è umorale, saltuario, sfuggente a qualsiasi tassonomia. Senza considerare che le statistiche sono basate su un numero vero – cioè un numero che esce in seguito alle effettive visite – ma che questo numero può essere alterato manipolando surrettiziamente le visite stesse, comprandole, o creando delle routine nei server dopo aver svuotato la cache. Svuotare, aggiornare, aumentare, contare: una ginnastica numerica che allena il vuoto. Anche se tutto quello che faccio non è reale, tanto quello che faccio che quello che subisco hanno delle conseguenze reali. [3996-4002]

Vorrei partire, andare a Genova, o a Trieste: la solitudine degli alberghi è l’unica sopportabile. [4035]

Sei nell’epoca delle deboli passioni, è di soffrire che non vale la pena. [5005]

[…] un corpo che era bambino e forse potenzialmente felice, ora sottoutilizzato e sfruttato, disperato, come si direbbe denaturato di un alcol. [5136]
… (altro)
 
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Boris.Limpopo | Apr 29, 2019 |

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