Tommaso Pincio

Il problema è che non si capisce dove l’autore volesse andare a parare. Ci si avvia in un romanzo giallo su un ex gallerista ossessionato da Caravaggio che se ne sta in carcere per un imprecisato motivo e su tale via si prosegue per i quattro quinti della sua durata per poi interrompersi di colpo e immergersi pian piano in un saggio a tutto tondo sulla figura e sulla pittura di Michelangelo Merisi in rapporto alla sua epoca.
La parte narrativa ben costruisce il personaggio immerso nella Roma barocca, ma lascia fuori fuoco i luoghi e i personaggi di contorno; ciò che segue è nel complesso meglio riuscito e a tratti davvero interessante (soprattutto per gli amanti della storia dell’arte), ma arriva tanto all’improvviso da lasciare perplessi.
Il libro è scritto bene e con una lingua non banale (del resto, se uno ha scelto uno pseudonimo simile…) coinvolge comunque il lettore trascinandolo per le sue duecento pagine scarse – bellissime quelle dedicate alla Galleria Borghese - ma la struttura stessa dell’opera fa sì che non si riesca ad apprezzarla fino in fondo.… (altro)

Dove si scopre che Tommaso Pincio (nom de plume di Marco Colapietro) c'entra solo marginalmente con Thomas Pynchon (di cui non si conoscono immagine certe, tanto da farlo identificare con Sallinger). Il Tommaso Pincio nostrano è consapevole che il nome che si è scelto è un nome del cazzo ("Mi ero dato Pincio per cognome ... perché quella stessa parola era un tempo usata quale scollacciato sinonimo del sesso maschile"). Ma l'origine dello pseudonimo e molto più arzigogolata e cervellotica. Comunque.......il libro in questione è uno dei più interessanti che mi è capitato di leggere negli ultimi tempi. CONSIGLIATO… (altro)