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Valérie Perrin

Autore di Cambiare l'acqua ai fiori

6 opere 961 membri 45 recensioni

Sull'Autore

Comprende i nomi: Perrin Valerie, Valérie Perrin

Fonte dell'immagine: leslivresadeuxplaces.com

Opere di Valérie Perrin

Cambiare l'acqua ai fiori (2018) 677 copie
Tre (2021) 174 copie
Os Esquecidos de Domingo (2023) 1 copia
Życie Violette (2022) 1 copia

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Informazioni generali

Data di nascita
1967-01-19
Sesso
female
Nazionalità
France
Luogo di nascita
Gueugnon, France
Luogo di residenza
Normandy, France

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Recensioni

Ci sono alcune coordinate, sulla mappa emozionale cui questa autrice ci ha abituato a navigare, che ci toccano nel profondo. Quasi esse rappresentassero un punto di contatto tra il mondo che ci appartiene e quello immaginario del racconto. “Tre” (Edizioni E/O, 2021), non fa eccezione: è pregno di musica e musicalità (o meglio delle sue sonore citazioni), di letteratura e letture, tanto da nascondere tra le sue pagine un libro nel libro; vi si ritrova potente la ricomposizione del dolore che non si può cancellare, ma che è possibile trasformare, sorta di rimedio omeopatico per offrirsi nuovamente alla vita; la rappresentazione dell’amicizia è forte quanto mai, forse la vera interprete del lavoro di Valérie Perrin; non ultima, compare la pressante necessità di cercare un approdo sicuro, un luogo protetto, che se in “Cambiare l’acqua ai fiori” era un piccolo camposanto di provincia, qui diventa un rifugio per cani orfani (non a caso l’autrice è madrina di un rifugio per animali abbandonati in Borgogna) e rappresenta, in quella sofferta elaborazione del dolore, il luogo della rinascita.

«Mi chiamo Virginie. Di Nina, Adrien ed Étienne, oggi Adrien è l’unico che ancora mi rivolge la parola. Nina mi disprezza. Quanto a Étienne, sono io che non voglio più saperne di lui. Eppure fin dall’infanzia mi affascinano. Sono sempre stata legata soltanto a loro tre» (da “Tre” di Valérie Perrin).

Nina, Adrien ed Étienne riempiono la scena, si alternano sul palcoscenico della vita che scorre, che scivola via, dall’infanzia all’adolescenza, dalla terra di mezzo sino all’età adulta. In una scansione temporale che scorre in dissolvenza fluida come in un programma di morphing. Tutto ciò in un’atmosfera a tratti un po’ surreale ma mai finta, nel paesaggio ad acquerello della Borgogna, in un luogo fisico chiamato La Comelle. Sono in tre. Un numero quasi perfetto per questa autrice: il terzo libro (dopo “Il quaderno dell’amore perduto” e “Cambiare l’acqua ai fiori”), il titolo della colonna sonora del racconto suonata dagli Indochine (loro terzo album), il trio di amici.

Un terzetto in cui questa autrice d’oltralpe che ci fa dimenticare, e non è poco, la Violette del suo lavoro precedente, grazie ad una ispirazione profonda che, lella stessa, racconta le sia giunta dopo aver letto “Non mentirmi” di Philippe Besson, la storia di un amore intenso, segreto, assoluto, in un'epoca in cui l'omosessualità è un tabù, elementi ai quali Perrin attinge con passione, mantenendo nel suo lavoro di scrittura intimista una gentilezza che non svela l’arcano narrativo, se non dopo averci messo a confronto con la psicologia dei personaggi, con la loro sfera emozionale più profonda, con il loro passato. In un lavoro di ricerca minuzioso che, nello scorrere del tempo, pur soffermandosi poco di più in quel mondo agro dolce dell’adolescenza, intercetta ogni epoca e la fotografa con buona profondità di campo. E così facendo ridà valore alla parola, anche a quella scritta, attraverso le lettere che il nonno di Nina, ad esempio, consegna ogni giorno nel suo giro di postino, insieme ai segreti contenuti nelle stesse. Insieme alla forza della parola che qui conta.

Etienne Beaulieu è il ragazzo bello, affascinante, sfrontato nelle conquiste, tutto il contrario di Adrien Bobin, lo studente modello, introverso, all’apparenza sottomesso, gregario del primo, figlio di una madre persa negli ideali e nelle nebbie del sessantotto. E poi c’è Nina la cui mente è capace di spiccare il volo, di guardare oltre l’orizzonte, di catalizzare la reazione chimica che li rende un tutt’uno, un numero perfetto. Ogni cosa è bella, come in un favola, ma poi la vita frana sotto i loro piedi e sembra dividerli nel dolore: i misteri e le paure sulla scomparsa della fidanzatina di Etienne, Clotilde Marais, trovata tanti anni dopo in fondo ad un lago, sfumatura noir del romanzo; la disperazione di Nina per la morte del nonno che l’ha cresciuta, il fantasma della madre, la relazione tossica che la obbligherà a saltare dall’altare alla polvere; il successo di un Adrien scrittore, la cui fama sarà oscurata dai segreti e dai tormenti che egli affida alla scrittura.

“Mi chiamo Virginie. Di Nina, Adrien ed Étienne, oggi Adrien è l’unico che ancora mi rivolge la parola. Nina mi disprezza. Quanto a Étienne, sono io che non voglio più saperne di lui. Eppure fin dall’infanzia mi affascinano. Sono sempre stata legata soltanto a loro tre” (da “Tre” di Valérie Perrin).

E quando, quasi a tre terzi del libro (il tre che ritorna), la nebbia si dipana sul quarto interprete, la voce narrante di Virginie, l’amica d’infanzia che ci ha rivelato, come un narratore onnisciente, gli straordinari legami che uniscono Nina, Adrien ed Étienne, tutto ci riporta nuovamente a quel numero tre con una “sottrazione” che ci sorprende, con garbo. Con umanità. Amici, così diversi, ma così sorprendentemente uniti, complementari quasi. Anche a questo punto il racconto tuttavia non si ferma, anzi fiorisce. Lo fa in una scrittura che scorre, che non si appesantisce mai, che talvolta inciampa in qualche ovvietà e che forse si adagia un po’ troppo mollemente in una sorta di lieto fine che, non scontato e non certificato, apre tuttavia alla speranza ed alla vita, ma soprattutto a ciò che inaspettatamente la stessa è capace di offrire o di farci incontrare. Incontri che possono, talvolta, cambiarne improvvisamente il corso. E, in fondo, tutto ciò è un sollievo, perché è indubbio che questo libro eredità dal precedente la consapevolezza della fragilità della vita e dell'inevitabile elaborazione del lutto, di un domani non garantito, del valore delle scelte per restare o partire, degli affetti che sono poi le nostre vere radici.

E in questa cronaca di vite che s’intrecciano, Valérie Perrin non fugge mai dalla nostra quotidiana terrena realtà, non ne distorce la dimensione autentica, anzi la racconta attraverso i gesti semplici della quotidianità, gli sguardi di chi ci circonda, le vibrazioni che ci attraversano. Sono tanti i temi che “Tre” intercetta: quello dell’abbandono in ogni sua sfaccettatura, quello della discriminazione e dell’accettazione della diversità, il tema della violenza contro le donne. La verità è che questo libro ci mostra, con grande chiarezza, cosa sono Karma e Dharma, i due principi universali che stabiliscono gli equilibri della nostra vita ed è per questo che va letto con attenzione.
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Segnalato
Sagitta61 | 9 altre recensioni | Jan 20, 2024 |
"Cambiare l'acqua ai fiori" (editore e/o, traduzione di Alberto Bracci Testasecca, 2019, uscito anche in edizione Mondolibri) è un romanzo che emoziona molto. Commuove toccando nel profondo chi legge. Alterna ai temi della vita (perdita, amore, gioia, sofferenza, rinascita) i temi della morte in cui perdita, amore, sofferenza e rinascita tornano con forza, mescolandosi nel crogiuolo del ricordo di chi resta. L’autrice ne parla con una delicatezza sorprendente, ma ci mette qualcosa di sé, fotografa, sceneggiatrice e scrittrice, in quel colto e continuo richiamo, fatto di citazioni dall’accento d’oltralpe, di cantanti, di canzoni, libri e artisti, con qualche licenza anglosassone come per “Le regole della casa del sidro” di John Irving, il romanzo della vita della nostra protagonista, Violette, a mezza via tra un’adolescenza allo sbando ed una maturità di equilibri ritrovati, anzi riconquistati. Ed è questa sensazione di rinascita che ha reso "Cambiare l'acqua ai fiori" uno tra i libri più letti nel primo lockdown, arrivato in testa alle classifiche con oltre centinaia di migliaia di copie vendute.

Stempera il dolore con un’ironia arguta che ci strappa alla malinconia e ci riporta al pensiero positivo, rinsalda la fragilità dell'esistenza umana con la preziosità delle connessioni che creiamo lungo il nostro cammino. Ci sprona a non sostare troppo nei ricordi, ad andare avanti nonostante il dolore, per scoprire quanto siano importanti e belle le cose semplici della vita. La cucina, le chiacchiere con gli amici, la bellezza di un fiore, le zucchine che si ingrassano nell’orto. Perché nel racconto di Valérie Perrin c’è pure un ché di ritorno alla natura, una specie di ecologia dell’anima oltre che del corpo (non mangia carne), di simbiosi con la terra, il cielo, il mare, i gatti che la seguono tra le lapidi del piccolo cimitero di provincia. Come già in molti hanno voluto sottolineare, "Cambiare l'acqua ai fiori" è una storia di resilienza, ma anche un manuale d’istruzione per riconnettersi con l'essenziale.

La protagonista principale è Violette Toussaint (che già dal nome che in francese significa “giorno dei morti” è tutto un programma), una donna di mezza età, figura affascinante e profondamente umana che lavora come guardiana di un cimitero. La sua vita è stata segnata da tragedie laceranti e il suo lavoro le offre ora un approdo sicuro per elaborare il dolore. Violette si prende cura delle tombe dei defunti e, in un modo o nell'altro, custodisce e conserva con umana passione anche le loro storie ed i segreti che hanno portato con sé nella tomba. La sua crescita e la sua rinascita emotiva sono descritte con grande sensibilità, offrendo al lettore una visione intima del suo mondo interiore. La storia al tempo stesso incanta, usando una scrittura che scorre fluida e suona sempre amichevole, mentre l’intreccio dei personaggi, le loro caratterizzazioni intime, le vicende che li uniscono calamitano pagina dopo pagina chi legge, amplificando l’attesa per un finale che ne nasconde altri, visto che ordito e trama sviluppano un intreccio temporale che disegna più storie e che salta tra il presente ed il passato. E Valérie Perrin è davvero brava nel gestire queste variazioni temporali, mantenendo il controllo del timone e la rotta, nonostante i cambiamenti cronologici.

E’ questo un approccio narrativo che aggiunge una dimensione in cui il senso dell’attesa cresce parallelamente al mistero alla storia, permettendo al lettore di scoprire gradualmente i segreti sepolti nel cimitero e nella vita di Violette, una donna sola, dopo che il marito è partito per un viaggio di sola andata. Fino a quando compare alla sua porta un poliziotto di Marsiglia: la madre ha lasciato scritto nelle ultime volontà che le sue ceneri dovranno riposare sulla tomba di un avvocato a lui sconosciuto, sepolto da anni nel cimitero.

"Cambiare l'acqua ai fiori" si sposta nello spazio e nel tempo oltre che tra due mondi, l’essere e il non essere, ed è per questo che la percezione di ciò che racconta credo muti in funzione dell’età di chi lo legge. Non deve sorprendere, in quanto il tema di un’esistenza terrena che prima o poi finisce, si offre a differenti percezioni in base a quanto ognuno di noi senta più o meno lontano il punto di passaggio dalla vita terrena a quella di un mondo fatto di tutto o di nulla, o rispetto a quanto il peso delle perdite subite nella propria esistenza trovi un equilibrio con le rinascite di chi ci ricorderà o ci dimenticherà.

«Non piangete la mia morte, celebrate la mia vita». In fondo Violette tende una mano ai due mondi, si prende cura dei morti come fa con i vivi, consola e ascolta questi ultimi così come lucida e difende dalle erbacce dell’oblio chi non c’è più, ma è comunque stato. Conosce tutti i nomi sulle tombe, le loro date di nascita e di dipartita, se scorge un sepolcro lasciato all’incuria, se ne prende cura. Violette annota tutto: chi è morto, chi era presente alle esequie, quali sono stati i discorsi e le canzoni dei funerali, le lapidi e gli epitaffi apposti sulla tomba. Violette rappresenta la memoria di coloro che sono scomparsi e, in fondo, pensare che esista qualcuno così ci conforta.

Il libro è una clessidra dove la luce e il buio s’infiltrano uno nell’altro, si perpetuano in questo continuo capovolgimento. “C’è qualcosa più forte della morte, ed è la presenza degli assenti nella memoria dei vivi”. In questo romanzo i nostri ricordi sepolti riemergono con forza, si manifestano senza vergogna e ci rigano il viso e l’anima.
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Segnalato
Sagitta61 | 31 altre recensioni | Jul 18, 2023 |
Ogni volta che osservo una libreria domestica, sento di dover rispondere a domande molto diverse tra loro, domande che hanno a che vedere con il presente, con il passato e con il futuro: cosa mi raccontano quei libri di sè e di chi li ha vissuti? Quali mondi nascondono che non conosco e che non ho mai esplorato? I paesaggi che io ho scorto visitando quelli che conosco sono gli stessi che vi hanno colto gli altri che li hanno visitati? Ma soprattutto: che fine faranno queste domande, questi paesaggi, queste memorie quando chi li ha vissuti non ci sarà più? E allora mi sembra che questi totem di carta siano destinati a trasformarsi in lapidi di memorie, esili tracce di qualcosa che non tornerà più indietro, qualcosa perso per sempre, qualcosa che nessun testimone potrà più far rivivere, neppure nella fantasia.

Ho ascoltato la voce di Tamara Fagnocchi mentre esploravo scatole di documenti sepolte nel sottotetto di casa dopo l’ultimo trasloco avvenuto qualche anno fa. Cercavo il mio foglio di congedo che giace sepolto chissà dove. Tra le mie mani tracce di passati recenti e remoti. L’impressione è stata quella di visitare il una tomba di famiglia dove sono sepolte vite che ho conosciuto e che ormai sono morte lasciando me come unico erede, un erede che, arrivato dov’è, non promette molto di buono, un erede che non trasmetterà più nulla a nessuno. Ho ascoltato le storie raccontate da Justine mentre esumavo le salme da questo cimitero giunto ormai a scadenza, provando, insieme ai protagonisti delle storie narrate nel libro, le emozioni, le speranze, le delusioni, le rabbie di diverse vite. Ma c’è una cosa che - contrariamente a quanto accade a Justine, che è giovane e può ancora credere di avere un futuro - non mi riesce proprio di fare: non riesco a perdonare i tradimenti, i miei tradimenti ai me stesso che ho lasciato morire e poi sepolto volgendo altrove uno sguardo carico di ingiustificate aspettative.

Con questo libro l’Autrice sembra voler suggerire che bisogna ricordarsi di dimenticare, come se la perdita della memoria sia l’unico modo di giungere al perdono di sé e degli altri. Non so. Forse. Forse solo dimenticando si è in grado veramente di abbandonare i vincoli che la memoria del passato è capace di imporre. Può darsi. Non sono capace di volerlo.
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Segnalato
claudio.marchisio | 2 altre recensioni | Oct 21, 2022 |
Un libro che parte senza dare l'idea di quel che sarà...avvincente, dolce, crudele, un mix vincente. L'ho divorato.
 
Segnalato
Claudy73 | 31 altre recensioni | Jun 4, 2021 |

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