Manuel Vázquez Montalbán (1939–2003)

Il mio rapporto con Montalbán non è mai stato particolarmente brillante, visto che ho sempre trovato faticose le avventure di Pepe Carvalho: allontanandomi dall’investigatore, mi sono avvicinato a questo tomo anche per approfondire l’argomento e, malgrado la cospicua mole che sfiora le mille pagine, ne ho ricavato una lettura allo stesso tempo interessante e piacevolissima.
Pombo, ormai attempato scrittore antifranchista, viene incaricato di immaginare un’autobiografia del generale poco dopo la sua morte (il libro è uscito in Spagna nel 1991). L’uomo accetta perché i soldi servono sempre e fa raccontare a Franco la propria vita partendo dall’infanzia a El Ferrol; nel contempo non fa mancare gli interventi in corsivo come contrappunto, dapprima con poche frasi e poi allargandosi sempre di più, contrapponendo a quella del caudillo la verità storica (magari dedotta dalle testimonianze di chi gli visse accanto) nonché la vicenda propria e della propria famiglia in esistenze spesso schiacciate dal tallone della dittatura.
L’autore trova due voci ben distinte per i suoi personaggi, ma se Pombo – segnato dal disincanto e e da un amaro umorismo – è più prevedibile, quello che colpisce davvero è il generale: militarista con i paraocchi, arrivista piccolo borghese (i matrimoni e la carriera per salire la scala sociale), provinciale incapace di slegarsi dalle banalità e dalle frasi fatte, ma pure con una chiara visione in mente (Spagna, Chiesa, famiglia, ordine, rifiuto di qualsiasi ‘liberalismo’) e con la ferrea volontà per realizzarla senza badare ai ‘danni collaterali’ sebbene potessero coinvolgere i propri parenti più stretti.
Montalbán non fa capire se, inebriato dalla propria ‘missione’, Franco non vedesse o non volesse scorgere lo sfruttamento dei privilegi da parte di chi lo circondava: il suo è un lento decadere convinto di aver plasmato in Juan Carlos l’erede del progetto millenarista. Il risultato è un libro di storia travestito da romanzo che trascina il lettore dalla prima all’ultima pagina.… (altro)

Non c’è niente da fare, io e Montalbán non ci prendiamo: è stato necessario uno sforzo non da poco per arrivare alla fine di questo noir diviso in due: da una parte le indagini di Pepe Carvalho sulla morte più spezzettamento di una bella e matura signora parente di Charo e dall’altra le vicende del marinaio Ginés, prima in licenza a Trinidad e poi imbarcato sulla nave del titolo, che si indovina ben presto implicato nel delitto. Tra una descrizione culinaria e l’altra (che ho sempre saltato) il detective si fa una deviazione tra Albacete, Mancia e Murcia in una ricerca nella Spagna profonda in cui quest’ultima è più importante dell’indagine: è la sezione di gran lunga più interessante, popolata com’è di figure singolari e caratterizzate con gusto (la famelica famiglia che vuole monetizzare l’assistenza al marito della vittima su tutte). Il resto si trascina all’inevitabile conclusione – che il giovane ‘autodidatta’ abbia qualcosa da nascondere lo si intuisce subito – soprattutto per l’eccessivo spazio concesso alla figura di Ginés specie da quando torna a bordo in avanti (vedi i suoi rapporti con il capitano): l’autore alterna dialoghi brevi a soliloqui lunghissimi, ma riesce a coinvolgere solo a sprazzi a causa di un ritmo troppo rallentato e di un personaggio principale con cui si fatica – almeno: io fatico – a entrare in qualsivoglia sintonia.… (altro)