Hanif Kureishi

Hanif Kureishi in un libro piccolo quanto intrigante racconta la storia della perdita di tutti i suoi risparmi affidati ad un consulente disonesto. La finanza è fatta di carte, documenti, aspettative e ipotesi: ma in nessun campo è più semplice rubare come in questo. Il consulente di Kureishi è un uomo normale, nessun vizio apparente, anzi è un uomo rassicurante, tranquillo. I suoi investimenti attraggono perché riesce sempre ad offrire un tasso d’interesse superiore a quelli praticati sul mercato. Ma il problema sarà, come sempre accade in questi casi, la restituzione del capitale. In questo racconto l’autore racconta con grande efficacia le emozioni ed i sentimenti che un uomo derubato nutre nei confronti di chi lo ha messo in ginocchio. La rabbia e la paura, la commiserazione e la speranza che non sia così, che le bugie di quell’uomo non siano ciò che appaiono. Perché è l’unica speranza di rivedere il capitale investito. Non suonano sirene, non si alzano urla, l’autore mantiene sempre un grande contegno anche perché la vergogna per essere stati ingenui può diventare un sentimento prevalente. Un piccolo libro ma veramente molto carino.… (altro)

Se ne stava nella libreria da un mucchio di tempo – il prezzo è ancora in lire – ed un motivo ci doveva essere. E difatti la scintilla non è scattata: il romanzo di formazione di Shahid, un giovane pakistano inurbato a Londra, sconta piani narrativi che si sovrappongono senza amalgamarsi e alcuni snodi narrativi fastidiosamente legnosi. La parte più interessante è quella che descrive la comunità di giovani estremisti islamici: una realtà che abbiamo imparato a conoscere, ma che quando il libro uscì, nella prima metà degli anni novanta, non era così di dominio pubblico. Un po’ stucchevole invece l’iniziazione sessuale e superficiale la descrizione del lato selvaggio della strada, dove il protagonista viaggia miracolosamente indenne all’ombra del caricaturale fratello. Anche il finale lascia un po’ di amaro in bocca, facendo incontrare le varie esperienze di Shahid e concludendole in maniera frettolosa: non si capisce neppure quanto si sia veramente ‘formato’ lo stesso protagonista, quanto abbia capito cosa vuol fare della sua vita. Così il libro resta in altalena - sempre ben scritto, è a volte interessante e divertente, come in tutto l’episodio della melanzana, ed altre noioso e banale – ed una volta girata l’ultima pagina il lettore si ritrova contento di potersi dedicare ad altro.… (altro)

Semplice e breve questo piccolo saggio colpisce per la spontaneità e la vibrante tenerezza che Kureishi dedica al padre. Il testo infatti racconta la nascita della sua vocazione letteraria che è strettamente legata a quella del padre, aspirante scrittore che ogni mattina all'alba si sedeva davanti alla macchina da scrivere, prima di recarsi all’ambasciata pachistana a Londra, dove lavorava.
Kureishi parte da qui per elaborare alcune riflessioni sulla pratica della scrittura e sul rapporto tra vita vissuta e vita scritta, rivelando la propria concezione di scrittura come missione nella vita.… (altro)