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Yoram Kaniuk (1930–2013)

Autore di Adam Resurrected: A Novel

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Sull'Autore

A native Israeli, Yoram Kaniuk was born on May 2, 1930. He served in the Haganah and later in the War of Independence. He was in the United States from 1950 to 1961, sharpened his artistic abilities, and developed a nostalgic vision of Tel Aviv and a deep attachment for Jerusalem. In May 2011, mostra altro Kaniuk petitioned the Israeli Interior Ministry to change his religion status from "Jewish" to "no religion." This stemmed from his desire not to belong to a "Jewish Iran" or "what is today called the religion of Israel." In October 2011, a district court judge approved his petition, meaning that Kaniuk was then considered a Jew by nationality, but not by religion. Hundreds of other Israelis intend to do the same; a new verb, lehitkaniuk (to Kaniuk oneself) was coined to refer to this process. Kaniuk published 17 novels, a memoir, seven collections of short stories, two books of essays and five books for children and youth. His books have been published in 25 languages and he has won numerous literary prizes. He died on June 8, 2013. (Bowker Author Biography) mostra meno
Fonte dell'immagine: Photo by user Howcheng / Wikimedia Commons

Opere di Yoram Kaniuk

Adam Resurrected: A Novel (1969) 120 copie
The Last Jew: A Novel (1980) 96 copie
1948 (2010) 55 copie
Commander of the Exodus (1999) 54 copie
ˆUn ‰arabo buono (1984) 44 copie
His Daughter (1988) 22 copie
Post mortem (1996) 17 copie
Himmo, King of Jerusalem (1968) 13 copie
Between Life and Death (2016) 13 copie
Tigerhill (1997) 12 copie
The Acrophile (1961) 10 copie
Rockinghorse (1977) 10 copie
Die Vermisste - Roman (2007) 4 copie
Il ladro generoso (2002) 4 copie
Presque (2016) 4 copie
בא בימים (2012) 3 copie
בתו 1 copia
מלאכים (2014) 1 copia
La ragazza scomparsa (2008) 1 copia
Wilde Heimkehr (1984) 1 copia
Gunghäst (1981) 1 copia
Acrophile 1 copia
Comme chiens et chats (1996) 1 copia
IL COMMANDA L'EXODUS (2000) 1 copia

Opere correlate

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Informazioni generali

Nome canonico
Kaniuk, Yoram
Nome legale
אדם בן כלב
Data di nascita
1930
Data di morte
2013-06-08
Luogo di sepoltura
none (body donated to science)
Sesso
male
Nazionalità
Palestina (geboren)
Israël
Luogo di nascita
Tel Aviv, Israel
Luogo di morte
Tel Aviv, Israel
Luogo di residenza
Tel Aviv, Palestina
Tel Aviv, Israël
Attività lavorative
painter
journalist
theater critic
writer
Premi e riconoscimenti
Bialik Prize 1999
Sapir Prize for Literature 2011

Utenti

Recensioni

E’ un romanzo saturo di disumanità, di arroganza e di contraddizioni. Che sono certamente tre elementi con cui si potrebbe oggi definire Israele: la disumanità dell’Olocausto subito dagli ebrei ad opera del nazismo con le atrocità dei campi di sterminio; l’arroganza di dare vita ad una nazione sulla terra occupata da altri come riscatto morale per gli innegabili torti subiti, ma soprattutto per una sorta di rogito divino firmato dall’Onnipotente (tanto che ogni flebile critica è immediatamente tacciata come una persecuzione antisionista); la contraddizione di fare agli altri quello che è stato fatto a te, che è poi il motivo per il quale Israele ha gettato le sua fondamenta in Palestina, in barba ad ogni rispettoso piano regolatore di reciproco rispetto di convivenza.

“Adamo risorto” di Yoram Kaniuk (la mia è l’edizione CDE su licenza Edizioni Theoria del 1995, tradotta da Elena Loewenthal) è una lettura permeata di pura follia, tanto che, lo ammetto, ho ripreso tra le mani questo romanzo più volte prima di riuscire ad arrivare all’ultima pagina e tirare un sospiro di sollievo. Non è un romanzo semplice, anzi l’ho trovato piuttosto complicato, talvolta addirittura ostico, a tratti incomprensibile in quella costante confusione tra la lucida critica sociale e il delirio di chi è o si finge matto. Tra la presenza fisica, reale, solida del circo di personaggi che si muovono sulla scena e quella invece immaginaria proiezione di un io devastato da un’esperienza inenarrabile, la cui mente partorisce una sorta di mondo alternativo dove tutti sono ciò che non sono veramente e recitano con una maschera. Il rischio che si corre è quello di ritrovarsi a vagare per i corridoi di casa con lo sguardo allucinato alla Jack Nicholson in “Qualcuno volò sul nido del cuculo”

Tanto va il merito all’autore di essere stato in grado di esprimere tutto questo con un linguaggio, quello della follia, difficile da far proprio nella scrittura, quanto è difficoltoso comprendere il perché Susan Sontag accosti Yoram Kaniuk a Garcia Márquez e Peter Handke, considerandolo uno dei tre migliori romanzieri che ha scoperto, in sintonia con “Le Monde” che scrive di Kaniuk come uno dei più grandi scrittori del nostro tempi, uno dei grandi maestri letterari israeliani. Al punto che, lo dico per diritto di cronaca, “Adamo risorto”, pubblicato in ebraico nel 1969 con il titolo “Adam ben Kelev” (Uomo figlio di un cane) è stato tradotto in numerose lingue e in molti lo hanno definito come una delle opere di narrativa sull'Olocausto più potenti mai scritte. Nel 2008 ne è stato tratto anche un film diretto da Paul Schrader con Jeff Goldblum e Willem Dafoe, accolto però tiepidamente dalla critica, forse quale conseguenza della difficoltà di tradurre in immagini libro, un sentimento ben espresso da Rotten Tomatoes che scrive: "una storia così inusuale avrebbe potuto dar vita a un avvincente dramma, ma Adam Resurrected soffre di una confusione narrativa e di una freddezza emotiva al suo interno" (fonte: www.rotten tomatoes.com/m/adam_resurrected).

Quanto detto sino ad ora ha un innegabile riscontro oggettivo nell’ambientazione del romanzo che vede come scenografia il deserto israeliano, un habitat asettico ed accecante dominato dagli elementi della natura e dove si trova un manicomio. O meglio: un Istituto di Riabilitazione e Terapia fondato grazie alla milionaria donazione di una benefattrice americana, facoltosa ebrea, simbolo del generoso ed interessato sionismo d'oltreoceano (morta, ma congelata in attesa di un accordo tra gli eredi), convinta da una suora in crisi mistica nella perenne attesa della venuta in terra del Salvatore, che era necessario istituire un rifugio per tutti i “nuovi” israeliani scampati all’Olocausto, ma ancora imprigionati nell’inferno del lager, nell’ipotesi che tra loro potesse celarsi il Dio salvifico fatto uomo. Il tutto forse per lasciar intravedere la metafora secondo cui essendo il popolo ebraico in larga parte stato ucciso nei campi di sterminio, le uniche persone rimaste sono quelle percorse da un fremito di pazzia che le ha sospinte in terra d’Oriente per costruire un nuovo Paese e che quel deserto che si apre alle loro spalle è il ritorno alle origini bibliche, alla Terra Promessa, alle proprie radici ebraiche.

Famoso ex clown di un grande e celebre circo, Adam Stein, a cui fu risparmiata la camera a gas per poter intrattenere come “pagliaccio” migliaia di altri ebrei mentre marciavano verso la morte, è ora il “capobanda” del manicomio, opera salvifica nel cuore del Negev, popolato esclusivamente da sopravvissuti all'Olocausto. Un personaggio che giostra tra la sua capacità di essere più brillante dei medici che lo hanno in cura e quella di essere matto ancor più di quanto lo sia qualsiasi altro paziente dell’Istituto, in una angosciante e lacerante lotta per dare un senso a un mondo sospeso, cristallizzato, tra sanità mentale e follia i cui confini sono stati irreversibilmente sfumati e resi così invisibili.

E non potrebbe essere diversamente visto che Stein nel campo di concentramento era costretto a recitare il suo ruolo di clown per intrattenere gli internati in fila per le camere a gas, guidandoli con un sorriso verso la morte. Obbligato a dare in questo modo, inerme, l’ultimo saluto alla moglie ed alla figlia. Ma soprattutto costretto ad impersonare nella prigionia il secondo cane da compagnia del comandante del campo Klein, di condividere con l’animale il quotidiano, camminando a quattro zampe, abbaiando e condividendo il cibo nella stessa ciotola. Un ruolo da cui Adam non riuscirà mai veramente a liberarsi, quasi quel cane si sia ormai impossessato di ogni fibra del suo essere, un purgatorio in terra che forse lo avvicina ad una improbabile redenzione.

Stein si identifica così fortemente con la sua identità di cane che non riesce ad accettare la sua nuova vita come membro della società israeliana. Una società nella quale egli è entrato in punta di piedi e solo dopo aver scoperto che l’altra figlia, data per scomparsa tra gli orrori dei lager, era invece viva in Israele, terra in cui giungerà solo per travestirsi un’ultima volta da pagliaccio e farla ridere sulla sua spoglia lapide. Adam non solo si prende gioco di Israele, metaforicamente interpretato dal gigantesco dottor Gross, e mantiene la sua vita passata da cane, per quanto orribile essa possa essere stata, ma intrattiene anche un rapporto amichevole con il comandante Klein dopo la guerra, un legame tra torturato e torturatore difficile da spiegare, ma non inconsueto.

Nel manicomio Adam è una sorta di leader, sempre in bilico tra l’accademico colto e distaccato ed il ruolo opposto di colui che, quasi con un pizzico di onnipotenza, può decidere se e quando vivere o morire. Circondato da una corte di personaggi, che francamente a volte è difficile capire quanto siano reali o frutto della proiezione di una mente imperscrutabile, al clown Stein l’autore pare quasi voler assegnare il ruolo di un Cristo moderno (uso la formula dubitativa in quanto non sono certo, quasi ormai affetto da una sorta di follia anch’io, della mia interpretazione letteraria) la cui resurrezione è affidata ad un miracolo nel deserto. Un miracolo dove cane chiama cane, una regressione dell’uomo ad animale che annusa, che abbaia e mugola ad un un suo simile, per poi scoprire che quel cane è un bambino (un altro paziente apparentemente incurabile comparso all’improvviso) rinchiuso in un cane immaginario e che solo grazie all’essere cane di Adam guarirà dalla follia che lo ha trasformato in bestia impaurita, riscoprendo in sé un essere umano e portando, al contempo, ad Adam Stein il dono della resurrezione, del ritorno alla vita. Non però ad una vita da gran finale, ma a quella alla quale ognuno di noi è semplicemente destinato.

Yoram Kaniuk, nato a Tel Aviv nel 1930, ha preso parte alla guerra d'indipendenza di Israele nel 1948 e quindi ha certamente facoltà di analizzare la società israeliana, senza temere di mostrarci che nell’aspetto disumano di tutti gli esseri umani, può essere rivelata la vera essenza dell’umanità che tende a perpetuarsi, quasi come se l’Olocausto fosse solo un evento, non l’ultimo probabilmente, dell’espressione all’esistenza umana. Un’esistenza dove uomo ed animale non riescono a differenziarsi, in barba ad ogni teoria evoluzionistica. Il ché indubbiamente apre una seria riflessione su ciò che il conflitto tra palestinesi ed israeliani ha messo in luce in questo ultimo mezzo secolo.
… (altro)
½
 
Segnalato
Sagitta61 | 5 altre recensioni | Oct 31, 2023 |
Yosef, il protagonista del romanzo, è arabo da parte di padre ed ebreo da parte di madre. Nel suo desiderio di appartenenza e nella sua anima sensibile d'artista si rispecchiano la storia e le ambizioni di due popoli irrequieti: un'eredità eccessiva e non sostenibile. .. (fonte: retro di copertina)
 
Segnalato
MemorialeSardoShoah | Nov 8, 2022 |
Il mondo di Post mortem è quello degli ebrei di Tel Aviv, e in particolare quello degli immigrati in fuga dalla Germania fra gli anni Venti e Quaranta del Novecento. Kaniuk, ripercorrendo a ritroso nel tempo gli eventi tragici e insieme quotidiani della dissoluzione della propria famiglia, si tiene accuratamente lontano da ogni ripiegamento sentimentale, sdipanando il filo del ricordo con levità e sottile ironia. Il racconto autobiografico diventa cosí occasione per dissezionare il mito della grande famiglia patriarcale della tradizione ebraica e farne il bersaglio di una lucida, acuta scrittura.
Con quella rara sensibilità carica di poesia che i lettori hanno imparato ad amare, Kaniuk ci dona una nuova storia, insieme personale e corale, sulle vicende del popolo di Israele.
… (altro)
 
Segnalato
Cerberoz | 1 altra recensione | Feb 14, 2012 |

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