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Comprende il nome: Elena Favilli

Fonte dell'immagine: Elena Favilli is the co-author of Good Night Stories for Rebel Girls By Hanarebelgirls - Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=60506896

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Informazioni generali

Data di nascita
1982-08-03
Sesso
female
Nazionalità
Italy
Nazione (per mappa)
Italy
Luogo di residenza
Italy
Venice, California, USA
Istruzione
University of Bologna
University of California, Berkeley
Attività lavorative
journalist

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Recensioni

Ho preso il secondo volume delle Storie della buonanotte per bambine ribelli anche se il primo non mi era piaciuto granché perché ero curiosa di vedere se c’erano stati dei miglioramenti dal mio punto di vista. La risposta è stata negativa: il secondo volume è uguale al primo, solo con cento biografie diverse. Quindi la buona notizia è che, se vi è piaciuto il primo, vi piacerà anche questo; in caso contrario, meglio lasciar perdere.

Dal punto di vista grafico è anche questo un signor libro, con la sua bella copertina morbidosa che passerei ore a tocchicciare e con le illustrazioni delle varie artiste, tutte molto belle. In più, è stato aggiunto un glossario con i termini più difficili per il pubblico più giovane, termini che sono stati evidenziati all’interno delle storie.

Devo dire che questo secondo volume mi ha un po’ annoiato: nonostante queste brevi biografie raccontino di imprese, scoperte e coraggio straordinari, le ho trovate molto piatte e poco appassionanti. Alcune sembrano proprio un elenco della spesa (ha fatto questo, poi quest’altro e infine quest’altro ancora), altre sembrano pagine di Wikipedia, di quelle con l’avviso che si tratta solo di un abbozzo. Non proprio quelle che si definiscono letture avvincenti…
… (altro)
 
Segnalato
lasiepedimore | 8 altre recensioni | Sep 22, 2023 |
Storie della buonanotte per bambine ribelli non ha ormai bisogno di presentazioni: il progetto, nato per insegnare alle bambine che anche loro possono aspirare a fare grande cose tramite il racconto delle vite di cento donne coraggiose, ha suscitato grande entusiasmo e ha raccolto oltre un milione di dollari su rel="nofollow" target="_top">Kickstarter, diventando uno dei libri più finanziati grazie al crowfunding. L’otto marzo scorso è arrivato anche in Italia e da due mesi è nella classifica dei libri più venduti.

Sicuramente il successo di questo libro dimostra una vera e propria fame di rompere gli stereotipi di genere: non ne possiamo davvero di più di gente che ci dice cosa possiamo o non possiamo fare e di “tornare in cucina” perché le donne non hanno mai fatto niente di rilevante.
Ero quindi molto contenta quando sono riuscita a metterci le mani sopra non appena la mia biblioteca l’ha acquistato: con la sua copertina morbidosa, poi, e le splendide illustrazioni ha fin da subito scatenato la feticista del libro che è in me. Tuttavia, leggendolo, mi sono resa conto che non è tutto oro quello che luccica.

Sono certa che sappiate delle critiche che ha sollevato: Michela Murgia si è lamentata del titolo che ne fa un libro indirizzato solo alle bambine, della eccessiva banalizzazione dei contenuti e complessità di linguaggio e di come è stata descritta Virginia Woolf e dell’inserimento di Margaret Thatcher.

Per quanto mi riguarda, sono molto d’accordo con Murgia sul titolo e anche sulla perplessità su come sono state tratteggiate alcune figure. Infatti, non mi pare il caso di festeggiare se l’imperatrice giapponese Jingū ha invaso la Corea. Mi direte: ma Jingū è vissuta nel II secolo, le cose allora erano diverse, oggi sappiamo che la guerra di aggressione è sbagliata, indipendentemente dal genere di chi la scatena. Sì, lo sappiamo noi adulti: ma un/a bambino/a ha gli strumenti per capirlo da solo/a, leggendo la storia che presenta Jingū in una luce positiva, come aggredire un altro Paese solo perché si è abbastanza forti da poterlo fare sia una dimostrazione di valore?

Le storture proseguono quando si parla di alcune donne che per realizzare i propri progetti hanno dovuto vestirsi da uomo (come Hatshepsut) oppure avere la benedizione (che suona un po’ troppo come “chiedere il permesso”) di qualcuno, troppo spesso il padre o il marito (come Alfonsina Strada o le sorelle Williams). Sarà storicamente accurato, ma il messaggio che trasmette è più quello della necessità di adattarsi in qualche modo alle regole che un gruppo di uomini ha stabilito per tutti/e che non quello di sovvertire quelle stesse regole, smascherandone l’iniquità e il sessismo.

Sto cercando il pelo nell’uovo? Forse. Ma ricordiamoci che raccontare a una bambina la storia di Alek Wek, dove a un certo punto si dice che un talent scout le propose di diventare una modella e che sua madre non voleva saperne, ma che alla fine questa cedette alle pressioni dell’uomo, senza che si faccia cenno a cose ne pensasse Alek, è insegnarle che il suo consenso non è importante di fronte ai desideri degli altri. Visto che ancora i “no” delle donne vengono presi per “sì” nascosti, direi che non si è mai troppo severi nel ricordare l’importanza del consenso.

In definitiva, sconsiglio questo libro? Nì, nel senso che consiglio ai genitori di leggerlo ai propri figli e alle proprie figlie, spiegando loro cosa c’è che non va in alcune di queste storie. Potrebbe essere un buon modo per iniziare ad aguzzare la loro vista e insegnare loro a riconoscere il sessismo anche laddove è più nascosto.… (altro)
 
Segnalato
lasiepedimore | 27 altre recensioni | Sep 22, 2023 |

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