Francesca Cavallo
Autore di Storie della buonanotte per bambine ribelli
Sull'Autore
Fonte dell'immagine: Francesca Cavallo/ from her Twitter account
Opere di Francesca Cavallo
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Informazioni generali
- Data di nascita
- 19??
- Sesso
- female
- Luogo di residenza
- Italy
Venice, California, USA - Attività lavorative
- playwright
stage director
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- ISBN
- 65
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- Preferito da
- 1
Sicuramente il successo di questo libro dimostra una vera e propria fame di rompere gli stereotipi di genere: non ne possiamo davvero di più di gente che ci dice cosa possiamo o non possiamo fare e di “tornare in cucina” perché le donne non hanno mai fatto niente di rilevante.
Ero quindi molto contenta quando sono riuscita a metterci le mani sopra non appena la mia biblioteca l’ha acquistato: con la sua copertina morbidosa, poi, e le splendide illustrazioni ha fin da subito scatenato la feticista del libro che è in me. Tuttavia, leggendolo, mi sono resa conto che non è tutto oro quello che luccica.
Sono certa che sappiate delle critiche che ha sollevato: Michela Murgia si è lamentata del titolo che ne fa un libro indirizzato solo alle bambine, della eccessiva banalizzazione dei contenuti e complessità di linguaggio e di come è stata descritta Virginia Woolf e dell’inserimento di Margaret Thatcher.
Per quanto mi riguarda, sono molto d’accordo con Murgia sul titolo e anche sulla perplessità su come sono state tratteggiate alcune figure. Infatti, non mi pare il caso di festeggiare se l’imperatrice giapponese Jingū ha invaso la Corea. Mi direte: ma Jingū è vissuta nel II secolo, le cose allora erano diverse, oggi sappiamo che la guerra di aggressione è sbagliata, indipendentemente dal genere di chi la scatena. Sì, lo sappiamo noi adulti: ma un/a bambino/a ha gli strumenti per capirlo da solo/a, leggendo la storia che presenta Jingū in una luce positiva, come aggredire un altro Paese solo perché si è abbastanza forti da poterlo fare sia una dimostrazione di valore?
Le storture proseguono quando si parla di alcune donne che per realizzare i propri progetti hanno dovuto vestirsi da uomo (come Hatshepsut) oppure avere la benedizione (che suona un po’ troppo come “chiedere il permesso”) di qualcuno, troppo spesso il padre o il marito (come Alfonsina Strada o le sorelle Williams). Sarà storicamente accurato, ma il messaggio che trasmette è più quello della necessità di adattarsi in qualche modo alle regole che un gruppo di uomini ha stabilito per tutti/e che non quello di sovvertire quelle stesse regole, smascherandone l’iniquità e il sessismo.
Sto cercando il pelo nell’uovo? Forse. Ma ricordiamoci che raccontare a una bambina la storia di Alek Wek, dove a un certo punto si dice che un talent scout le propose di diventare una modella e che sua madre non voleva saperne, ma che alla fine questa cedette alle pressioni dell’uomo, senza che si faccia cenno a cose ne pensasse Alek, è insegnarle che il suo consenso non è importante di fronte ai desideri degli altri. Visto che ancora i “no” delle donne vengono presi per “sì” nascosti, direi che non si è mai troppo severi nel ricordare l’importanza del consenso.
In definitiva, sconsiglio questo libro? Nì, nel senso che consiglio ai genitori di leggerlo ai propri figli e alle proprie figlie, spiegando loro cosa c’è che non va in alcune di queste storie. Potrebbe essere un buon modo per iniziare ad aguzzare la loro vista e insegnare loro a riconoscere il sessismo anche laddove è più nascosto.… (altro)