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Luciano Bianciardi (1922–1971)

Autore di La vita agra L'amara storia di un intellettuale di provincia

44+ opere 407 membri 10 recensioni

Sull'Autore

Serie

Opere di Luciano Bianciardi

Il lavoro culturale (1991) 36 copie
L'integrazione (1993) 17 copie
La Battaglia soda. (2003) 13 copie
Aprire il fuoco (1969) 13 copie
I minatori della Maremma (2019) 7 copie
Daghela avanti un passo! (1969) 6 copie
le cinque giornate (2008) 5 copie

Opere correlate

Viaggio con Charley (1962) — Traduttore, alcune edizioni8,495 copie
L'inverno del nostro scontento (1961) — Traduttore, alcune edizioni5,409 copie
Tropico del Capricorno (1939) — Traduttore, alcune edizioni3,648 copie
Il re della pioggia (1958) — Traduttore, alcune edizioni2,867 copie
La crociera (1915) — Traduttore, alcune edizioni2,697 copie
The King Must Die (1958) — Traduttore, alcune edizioni2,671 copie
La legge di Parkinson ovvero 1=2 (1957) — Traduttore, alcune edizioni492 copie
Il flagello della svastica (1954) — Traduttore, alcune edizioni317 copie
The Penguin Book of Italian Short Stories (2019) — Immagine di copertina — 139 copie
Tropico del Cancro (1961) — Traduttore, alcune edizioni; Traduttore, alcune edizioni98 copie
The Capture and Trial of Adolph Eichmann (1961) — Traduttore, alcune edizioni45 copie
La notte inquieta | L'uomo che sposò una ragazza francese — Traduttore, alcune edizioni1 copia

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Informazioni generali

Data di nascita
1922
Data di morte
1971
Sesso
male
Nazionalità
Italia
Nazione (per mappa)
Italia
Luogo di nascita
Grosseto, Italia
Luogo di morte
Milano, Italia
Luogo di residenza
Milano, Italia
Istruzione
Scuola Normale Superiore di Pisa
Attività lavorative
writer
journalist
translator
critic

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Recensioni

Non è uno di quei libri che consigli per qualche ora di svago. La vita agra è un libro impegnativo, amaro, triste. Lo stato esistenziale di un uomo che lascia la bassa toscana per andare a Milano dove ha in mente di vendicare un incidente di fabbrica. La dimensione urbana lascia emergere tutte le frustrazioni dell'uomo moderno, lo stress, lo stile di vita malsano, la burocrazia, la ristrettezza economica e l'incomunicabilità. Nel mondo descritto da Luciano Bianciardi sembra non esserci speranza e, nonostante il romanzo sia ambientato all'inizio degli anni '60 la descrizione dello stato d'animo del protagonista è quanto mai attuale. Interessante.… (altro)
 
Segnalato
GabrieleSc | 6 altre recensioni | Dec 27, 2023 |
 
Segnalato
ScarpaOderzo | 6 altre recensioni | Apr 13, 2020 |
Fosse solo il ritratto di un fondamentale passaggio nella storia sociale italiana, staremmo parlando comunque di un signor libro. Discorso che si può riproporre pari pari se non si trattasse altro che della rappresentazione di un uomo che vorrebbe porsi fuori dal coro e combattere contro la società così com’è strutturata, ma ha anche un estremo bisogno di farsi accettare dallo stesso mondo che dice di rifiutare. Ma il terzo romanzo del grossetano Bianciardi non si limita a intrecciare i due temi sopra esposti con smaliziata abilità, bensì li racconta con una lingua brillante, a volte addirittura travolgente, in cui le trovate lessicali si mischiano alle derivazioni dai dialetti inanellando passaggi funambolici e mantenendo un ritmo infallibile e costante che coinvolge il lettore fino a immergerlo in un momento storico che pure non ha vissuto. La figura centrale, che narra in prima persona, ha lascia la provincia - oltre alla moglie e al figlioletto - per andare a vivere a Milano con l'intento iniziale di vendicare i minatori morti in un incidente causato dalla scarsa sicurezza sul lavoro (il riferimento è alla miniera di Ribolla, 1954): l’aspirazione sarebbe di far saltare il ‘torracchione’ in cui ha sede l’impresa mineraria, ma bisogna sbarcare il lunario e quindi ecco l’impiego di traduttore come fonte di sostentamento dopo che è saltato il posto come redattore di un piccolo periodico. Se tutto attorno sta partendo il cosiddetto miracolo economico, la vita smette di essere difficile: camere ammobiliate senza riscaldamento da condividere con casuali compagni di viaggio (l’ingombrante Carlone, i giocatori di pelota) e pranzi in latterie economiche facendo con cura il conto dei soldi. In questa sorta di boheme della periferia milanese giunge infine Anna, con la quale il protagonista intreccia un’appassionata storia d’amore spingendosi a fare il salto che lo porta all’affitto di un appartamentino: l’inizio di un’esistenza di routine, contrassegnata sempre da un’obbligata e spasmodica attenzione alle spese, che finisce per impoverire persino la passione. Si tratta di quella stessa routine criticata negli altri, gli operai descritti nell’apocalittica rappresentazione dei ‘treni del sonno’ e gli impiegati incarnati nelle segretarie inacidite: feroce la descrizione delle camminate sui tacchi che fanno sussultare le gote anziché il petto che le donne del nord non hanno. Del resto, l’iroso narratore, dietro il quale si scorge con chiarezza l’autore, ne ha per tutti: i padroni e tutto il meschino ambiente lavorativo (la tragicomica revisione delle traduzioni), il partito e/o il sindacato (l’attività di sezione predicata da una piccola borghese), il dominio assoluto dei dané con il corollario di bollette da pagare e creditori asfissianti, il traffico ossessivo che è una minaccia anche solo se si attraversa la strada per un caffè, il consumismo nascente con l’acquisto di prodotti inutili sotto i neon del supermercato, i nuovi miti di una società massificata come la televisione o l’auto di proprietà o ancora la villeggiatura ai quali non resta che contrapporre un disperato ‘io mi oppongo’. Di conseguenza, ecco il vagheggiato ritorno a un mondo semplice e rurale basato sul libero amore e il baratto, ma l’impressione che non si tratti altro che di parole cresce con il passare dei capitoli laddove, tra una filippica e la successiva, la voce narrante si arrabatta con i problemi quotidiani senza mai dare concretezza ai suoi proposità di velleitaria ribellione. Il volume si mantiene così su di un doppio binario: da una parte c’è il racconto della brusca trasformazione sociale che è all’origine del nostro quotidiano, dall’altra l’analisi della psicologia di un uomo che vorrebbe, ma non può non essere uno dei tanti.… (altro)
 
Segnalato
catcarlo | 6 altre recensioni | Oct 23, 2017 |
Così ho finalmente appreso l’etimologia di Brera o, meglio della Braidense (da Braida, campus vel ager suburbanus in Gallia Cisalpina), grazie al toscanissimo Bianciardi, che nella zona milanese di Brera ha iniziato la sua avventura milanese. Brera come era negli anni’ 50, non il quartiere artefatto e iper-modaiolo di oggi, ma area realmente ‘alternativa’, frequentata da giovani di belle (si fa per dire) speranze, artisti e spiantati vari, provenienti da ogni regione d’Italia, che consumavano le loro serate fra trani e crote peimunteise e i loro giorni in cerca di fortuna nella metropoli del primo dopoguerra. E quello che nel romanzo è il bar delle Antille non è altro che il celeberrimo Jamaica.
Raccontando Milano Bianciardi racconta il ‘miracolo economico’, ma soprattutto i suoi costi sociali e umani. La descrizione della città, e dei suoi abitanti, è impietosa. Quello che colpisce, a più di mezzo secolo dalla data di pubblicazione del romanzo, è che le differenze con l’oggi sono solo apparenti. Non c’era la metropolitana, ma il tram con il bigliettaio (‘avanti c’è posto’), c’era ancora la pausa pranzo e non l’orario continuato e l’apertura degli esercizi commerciali h 24 sette giorni su sette, ma c’era la nebbia e l’inquinamento, la fretta costante (per andare dove?), la sete di guadagno, il lavoro che non si chiamava ‘precario’ ma lo era di fatto, i supermercati e la creazione (imposizione) di bisogni fittizi, il centro con le sue ragazze patinate e irraggiungibili e il degrado delle periferie o semi-periferie. Leggendo queste pagine si trovano le premesse del presente che, appare evidente, non poteva essere diverso. Bianciardi non ha certo amato Milano, ma chi può dargli torto? La vita che racconta, la sua e di altre persone del suo mondo, è stata veramente ‘agra’, in una città se non proprio cattiva, certo indifferente e sfruttatrice.
Un libro formidabile, assolutamente da leggere. Non l’avevo fatto a suo tempo e sono contenta di avere colmato ora questa lacuna.
… (altro)
 
Segnalato
Marghe48 | 6 altre recensioni | Aug 30, 2017 |

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