Naomi Alderman

Come tutti i best seller, questo libro è molto amato o molto odiato.
Io mi colloco nel mezzo: le premesse sono intriganti (anche se non particolarmente orignali), la storia avvincente ed i personaggi ben caratterizzati; in particolare il ribaltamento dei ruoli di genere è rappresentato in maniera plausibile e convincente. Le mie perplessità riguardano il messaggio dell'opera: non è un po' troppo semplicistico attribuire la subordinazione della donna soltanto ad una minore forza fisica? O pensare che millenni di sviluppo evolutivo possano venire annullati in meno di 10 anni? Il finale poi manca di incisività ed è sbrigativo, come se l'autrice non sapesse come portare avanti le varie trame ed abbia preferito concludere con un taglio netto.
Nulla da dire sullo stile perchè di stile non ce n'è. E' una prosa facile e piana, a livello quasi scolastico, che non aggiunge e non toglie nulla al romanzo.
Insomma non è un libro che resterà negli annali, ma se ci si approccia ad esso senza grandi aspettative e concentrandosi sui suoi punti di forza ne risulterà una lettura davvero piacevole.… (altro)

Ebraismo laico opposto a ebraismo ortodosso: un conflitto senza tregua. Il tema è affrontato in chiave femminile e si sviluppa intorno a una storia di amore omosessuale che si intreccia con la questione religiosa. Dei due aspetti non commento la storia lesbica, che comunque non mi appassiona, mentre per quanto riguarda l’aspetto religioso, rilevo che l’autrice è tutt’altro che neutrale: è chiaramente schierata, e anche con un certo astio, contro l’ebraismo ortodosso. Tende a mostrare una comunità in cui prevalgono meschinità, pettegolezzo, in cui uomini e donne sono per lo più degli ottusi conservatori e i valori sono più apparenti che sostanziali. Non intendo difendere l’ebraismo ortodosso, da cui sono comunque lontana, ma ogni forma di manicheismo comunque mi disturba: mi sembra irrispettosa della realtà e non mi pare aiuti la sua comprensione. Quello che poi mi ha stupito in una scrittrice ebrea e inglese è la totale assenza - doppiamente inattesa - di sense of humour. Per questi temi non resta che da rivolgersi all’insuperabile Philip Roth. Proprio non c’è gara.… (altro)