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When blue chalk circles begin to appear on the pavement in neighborhoods around Paris, detective Commissaire Adamsberg is alone in thinking that they are far from amusing. As he studies each new circle and the increasingly bizarre objects they contain, he senses the cruelty that lies within whoever is responsible. And when a circle is discovered containing a woman with her throat cut, Adamsberg knows that this is just the beginning.--From publisher's description.… (altro)
“L’uomo dei cerchi azzurri” esce in Italia nel 2007, anche se è il primo romanzo della Vargas dedicato al commissario Jean-Baptiste Adamsberg, che in Francia è pubblicato già nel 1991. Data ancor prima l’esordio in giallo dell’autrice: “Les Jeux de l'amour et de la mort”, approdato in scaffale a metà degli anni '80. Premessa per dire che, se si vuole approcciare ai personaggi un poco onirici della saga Adamsberg, è consigliabile partire dall’inizio, stravolgendo un poco la bizzarra cronologia italiana, pur pagando il pegno di un’architettura narrativa non ancora matura al punto giusto. Personaggi talvolta con personalità multiple, vite e sensibilità parallele, forse prodotto di una creatività anch’essa riflessa in uno specchio, al punto che non ci sorprende nemmeno che Freed Vargas sia, in realtà, un’archeologa che di nome fa Frédérique Audoin-Rouzeau. Mi guardo bene dal raccontare i fatti, visto che è di un giallo si tratta. Dirò solo che il commissario è fresco di trasferimento, fresco del fascino parigino, di una scenografia da cartolina che nasconde però zone d’ombra celate allo sguardo di chi la città la vive da turista. Una Parigi in cui qualcuno disegna cerchi azzurri e dentro quelle circonferenze che delimitano uno spazio preciso, lo stesso forse che inquadra i personaggi fuori dalle righe che popolano la storia, pone con cura degli oggetti. E, caso mai qualcuno pensasse ad una casualità, li accompagna con una frase: “Victor malasorte il domani è alle porte”. Nulla di strano, o meglio nulla di delittuoso a prima vista, se non fosse che nei cerchi azzurri cominciano a comparire altre cose. Più inquietanti. La scrittura di Vargas è molto, come dire, francese. Circondata da quell’aurea che ritroviamo in molti film d’oltralpe, fluisce pacatamente come la Senna, ma non è mai ferma, non c’è un solo attimo di immobilità. E in questo movimento i personaggi crescono, le contraddizioni che disegnano le loro personalità lievitano e quasi ci sembra, gli interpreti del commissariato parigino, di imparare a conoscerli, giorno dopo giorno, come si impara a conoscere un collega. Come si comincia ad apprezzare, pagina dopo pagina, quello strano modo di indagare di Adamsberg. Capace di notare ciò che gli altri non notano, quei particolari che ai più sembrano parte di un quadro di apparente normalità o di estranea innocenza ai fatti, ma nei quali il commissario riesce a notare la personalità autistica. Lo stile giallo della Vargas è quasi metafisico: non c’è la violenza da serial poliziesco americano, non ci sono scene del crimine grondanti di sangue, non c’è la proiezione ipertecnologica di CSI Las Vegas. L’ordito del racconto tiene chi legge attento perché i fili spesso corrono in diverse direzioni, s’attorcigliano, creano impreviste geometrie narrative. S’insinuano nella psicologia dei personaggi, si perdono nella quotidianità che, nella sua normalità, non è mai veramente normale. Per questo forse Vargas non soddisfa tutti i palati, in modo particolare quelli vorrebbero l’azione palpitante al centro del giallo o l’assenza quasi di veri indizi. Così come lascia un poco perplessi il finale di questo libro, che un poco toglie alla ricca introspezione psicologica delle anime che lo popolano. Ma si sa, il primo frutto di un albero non ancora strapazzato dalle intemperie ha bisogno di stagionare, ed è forse questo il motivo per cui in Italia si è preferito partire dal pubblicare opere cronologicamente successive di questa scrittrice. Il consiglio: lasciar decantare e proseguire nella lettura del tanto trasognante, quanto geniale Jean-Baptiste Adamsberg, cui Vargas regalerà negli anni molte grandi soddisfazioni.
Libro strano, semplice ma anche "slabbrato", giocato su non più di 7 personaggi (che sono in realtà 6) e con un colpo di scena che alla fine non si rivela come tale. Un po' lento ma scritto bene, curato., bello comunque. ( )
Noir raffinato e intrigante. E' il primo in cui compare il commissario Adamsberg e il suo collega Danglard, e molte pagine sono spese per la costruzione dei personaggi (da qui deve cominciare chi decide di lasciarsi coinvolgere nelle intuizioni di Adamsberg). Il racconto dell'uomo dei cerchi azzurri sembra più un pretesto per presentare gli strampalati (ma simpaticissimi e acuti) personaggi. ( )
When blue chalk circles begin to appear on the pavement in neighborhoods around Paris, detective Commissaire Adamsberg is alone in thinking that they are far from amusing. As he studies each new circle and the increasingly bizarre objects they contain, he senses the cruelty that lies within whoever is responsible. And when a circle is discovered containing a woman with her throat cut, Adamsberg knows that this is just the beginning.--From publisher's description.
Mi guardo bene dal raccontare i fatti, visto che è di un giallo si tratta. Dirò solo che il commissario è fresco di trasferimento, fresco del fascino parigino, di una scenografia da cartolina che nasconde però zone d’ombra celate allo sguardo di chi la città la vive da turista. Una Parigi in cui qualcuno disegna cerchi azzurri e dentro quelle circonferenze che delimitano uno spazio preciso, lo stesso forse che inquadra i personaggi fuori dalle righe che popolano la storia, pone con cura degli oggetti. E, caso mai qualcuno pensasse ad una casualità, li accompagna con una frase: “Victor malasorte il domani è alle porte”. Nulla di strano, o meglio nulla di delittuoso a prima vista, se non fosse che nei cerchi azzurri cominciano a comparire altre cose. Più inquietanti.
La scrittura di Vargas è molto, come dire, francese. Circondata da quell’aurea che ritroviamo in molti film d’oltralpe, fluisce pacatamente come la Senna, ma non è mai ferma, non c’è un solo attimo di immobilità. E in questo movimento i personaggi crescono, le contraddizioni che disegnano le loro personalità lievitano e quasi ci sembra, gli interpreti del commissariato parigino, di imparare a conoscerli, giorno dopo giorno, come si impara a conoscere un collega. Come si comincia ad apprezzare, pagina dopo pagina, quello strano modo di indagare di Adamsberg. Capace di notare ciò che gli altri non notano, quei particolari che ai più sembrano parte di un quadro di apparente normalità o di estranea innocenza ai fatti, ma nei quali il commissario riesce a notare la personalità autistica.
Lo stile giallo della Vargas è quasi metafisico: non c’è la violenza da serial poliziesco americano, non ci sono scene del crimine grondanti di sangue, non c’è la proiezione ipertecnologica di CSI Las Vegas. L’ordito del racconto tiene chi legge attento perché i fili spesso corrono in diverse direzioni, s’attorcigliano, creano impreviste geometrie narrative. S’insinuano nella psicologia dei personaggi, si perdono nella quotidianità che, nella sua normalità, non è mai veramente normale. Per questo forse Vargas non soddisfa tutti i palati, in modo particolare quelli vorrebbero l’azione palpitante al centro del giallo o l’assenza quasi di veri indizi. Così come lascia un poco perplessi il finale di questo libro, che un poco toglie alla ricca introspezione psicologica delle anime che lo popolano. Ma si sa, il primo frutto di un albero non ancora strapazzato dalle intemperie ha bisogno di stagionare, ed è forse questo il motivo per cui in Italia si è preferito partire dal pubblicare opere cronologicamente successive di questa scrittrice. Il consiglio: lasciar decantare e proseguire nella lettura del tanto trasognante, quanto geniale Jean-Baptiste Adamsberg, cui Vargas regalerà negli anni molte grandi soddisfazioni.
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