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Patatrac. Dizionario onomatopeico-rumorista…
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Patatrac. Dizionario onomatopeico-rumorista della lingua italiana (edizione 2023)

di Marco Lanterna (Autore)

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Utente:AntonioGallo
Titolo:Patatrac. Dizionario onomatopeico-rumorista della lingua italiana
Autori:Marco Lanterna (Autore)
Info:Luni Editrice (2023), 256 pagine
Collezioni:Parole, Culture, Bibliomania, In lettura
Voto:****
Etichette:parole, onomatopea

Informazioni sull'opera

Patatrac. Dizionario onomatopeico-rumorista della lingua italiana di Marco Lanterna

Aggiunto di recente daAntonioGallo
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“In principio era il verbo …”. Tutti lo sappiamo. Ma quello che non sappiamo, e nessuno è mai riuscito ad appurare, è quante e quali fossero le parole che anticiparono la comparsa dell’uomo su questa terra. Lo so che il Verbo era presso Dio, in quanto Dio era il Verbo. Ma le cose restano non chiare.

Per questa ragione ho dovuto comprare questo libro quando mi sono reso conto che prima della prima parola, scusate la ripetizione, dovette esserci una onomatopea, un rumore, una sorta di “rumble” come lo chiamano gli inglesi, un “rombo”, una specie di “rumore cupo, minaccioso, gravido di conseguenze, per lo più negative come un crollo oppure un brontolìo umano pur’esso foriero di nere conseguenze.” Così scrive Marco Lanterna, autore di questo preziosissimo dizionario onomatopeico-rumorista della lingua italiana.

Come studioso e curioso da sempre della comunicazione umana, dovevo averlo tra le mani perchè “l’onomatopea ha natura interdisciplinare, plettica, simile a un’onda circolare che si propaga in ogni direzione: pertiene a poesia, linguistica, fumetto, pedagogia, filosofia, musica, antropologia, etologia, tipografia, lessicografia.” Insomma prima fu l’onomatopea e poi la parola.

L’onomatopea è massicciamente utilizzata nel fumetto, nella pubblicità, nella canzone, nel linguaggio giovanile e graffitaro e anche nell’arte, ma fino a questo momento non aveva ancora in italiano un “proprio” dizionario. Questo è avvenuto perché l’imitazione dei rumori mediante il linguaggio è una specie di cenerentola della lingua italiana: nei grandi dizionari si perde tra le migliaia di voci, i grandi scrittori l’aborrono, per le persone comuni è una “bambinata”, mentre la scrittura tecnica nemmeno sospetta che esista. Eppure non fu sempre così: l’onomatopea ebbe una breve, ma intensa, stagione letteraria ai primi del Novecento, con Pascoli, Palazzeschi, Marinetti e il Futurismo. Filosofi e linguisti da sempre la guardano come una delle possibili matrici del linguaggio, nonché fonte di arricchimento delle lingue, mentre l’imitazione onomatopeica dei versi animali ne fa forse l’ultima lingua di Re Salomone. Per traslato l’onomatopea accomuna tutti i popoli, è trasversale alla comprensione del linguaggio e insieme ai gesti è forse l’unica vera lingua che permette un dialogo universale. Questo dizionario enciclopedico — il primo della lingua italiana interamente dedicato all’onomatopea — registra circa 1000 voci (oltre a nomi, idee, curiosità) nel tentativo di mapparne il vasto impero: dell’onomatopea esalta la qualità letteraria attraverso citazioni d’autore, e la ricchezza fonetica spesso inavvertita, serbando vero brio nelle definizioni, mai accademiche o pedanti, ma illuminanti per i continui parallelismi e collegamenti tra pensiero, azione e parola. Mentre nelle altre nazioni esistono dizionari onomatopeici, l’Italia — che è stata un modello con il Vocabolario della Crusca — vi giunge ultima. Un divario che PATATRAC vuole colmare, facendo finalmente calzare a quella riottosa cenerentola la sua scarpetta di regina.

Questa è la presentazione editoriale del libro. Ma un utile riferimento per indagare sulla origine delle parole che, come si sa, sono elementi essenziali di ogni lingua, ci viene dato anche da un altro riferimento biblico che l’autore del libro, non so dire perché, ha ignorato. Quello in cui si parla di Babele:

«Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: “Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra». (Genesi 11, 1–9)

Una sola lingua, le stesse parole. Quante? Allora erano, forse, Marcotante, più di quelle di oggi. Ed ecco la ragione per la quale il Signore, che era anche Verbo, dovette decidere di “confondere” quell’unica lingua facendola diventare tante lingue. Così facendo le parole si moltiplicarono e continuano a vivere nella babele delle parole e delle lingue. Parole e lingue che, nella presente epoca digitale e high tech, diventano siti, applicazioni e virtualismi vari sui quali si riflettono scrittura e lettura con i loro relativi modi di leggere e scrivere.

Strano che Marco Lanterna non abbia dato a questa parola un posto nel suo prezioso lavoro. Avrebbe dovuto avere un posto d’onore nella Babele della moderna comunicazione onomatopeica. La risposta dipende da come si intende la parola “babele”. Se si intende una situazione di confusione e incomprensione dovuta alla diversità delle lingue, allora la risposta è sì. Viviamo in un mondo in cui le persone parlano più di 7.000 lingue diverse, e questo può rendere difficile comunicare tra loro.

Se, invece, si intende la parola “babele” come un’esplosione di suoni e rumori, allora la risposta è anche sì. Viviamo in un mondo in cui siamo bombardati da informazioni e stimoli sensoriali, e questo può creare una sensazione di caos e confusione. In particolare, la comunicazione digitale ha contribuito a creare una nuova forma di babele onomatopeica.

I social media, i messaggi istantanei e le app di chat hanno reso possibile comunicare con persone di tutto il mondo in tempo reale. Tuttavia, questo ha anche portato a una proliferazione di slang, abbreviazioni e acronimi che possono essere incomprensibili per chi non è abituato a questi linguaggi. Ecco alcuni esempi di “babele onomatopeica” nel mondo della comunicazione digitale:

Gli acronimi e le abbreviazioni: LOL, OMG, BRB, FYI, IMHO, etc. Lo slang: bae, fleek, lit, fam, etc. I emoji e le GIF: 😂, 😭, 🔥, 😍, etc. Questi elementi possono rendere difficile comprendere il significato di un messaggio, soprattutto se proviene da una persona che non si conosce. Inoltre, possono creare una barriera tra le persone che non condividono la stessa cultura digitale.

Tuttavia, la “babele onomatopeica” del mondo della comunicazione digitale può anche essere vista come un’opportunità. La possibilità di comunicare con persone di tutto il mondo può portare a un maggiore comprensione e tolleranza. Inoltre, può stimolare la creatività e l’innovazione.

In definitiva, la questione se viviamo in un mondo della comunicazione in cui regna la più grande babele onomatopeica di tutti i tempi è una questione di opinione. Tuttavia, è chiaro che la diversità delle lingue e dei linguaggi digitali sta creando nuove sfide per la comunicazione. La sintesi e l’immaginazione sembrano avere la meglio sulle parole.

Nessuno è più disposto a leggere lunghe scritture in forma di romanzi e racconti come si usava fare fino a poco tempo fa. Libri del tipo “Guerra e Pace” hanno fatto il loro tempo. Oggi, si possono scrivere romanzi o storie in poche parole, in nome della sintesi e a favore dell’immaginazione da parte di chi ha deciso di leggere scegliendo la parola al posto dell’immagine così come la propone la TV e tutti i suoi derivati applicativi, Rete compresa.

Con un dizionario del genere, chi ama la comunicazione può ritrovare nelle onomatopee la magia dei suoni iniziali, quelli delle origini che vennero fuori dal “rombo” di cui scrive Lanterna, che poi sarebbe il “big bang”, “il grande scoppio”, la teoria astrofisica secondo cui l’origine dell ‘universo coinciderebbe con un’eplosione avvenuta miliardi di eoni fa. Lanterna scrive in proposito:

“Tocca proprio ad una onomatopea, madre di tutte le onomatopee, raffigurare l’origine del cosmo, il suo primo piroclastico vagito.”

Per una strana combinazione mi è capitato di avere tra le mani insieme a questo libro dizionario un altro in cui si parla proprio del grande rombo, lo scoppio, il “big bang”, di come tutto ebbe inizio. Mi chiedo, dopo la lettura di questo dizionario che abbonda di “rumori”, se non stiamo vivendo in una civiltà tecnologica tanto avanzata e sofisticata da trasformare l’intera comunicazione fatta da sempre di parole, precedute da onomatopee, se la fine di tutto non sarà un ritorno alla origini, ai primordiali “rombi e rumori” in forma di onomatopee.

Cosa sono infatti tutti quei suoni grafici e sonori che ci tormentano giorno dopo giorno. Non solo fumetti, futuristi passati, presenti e futuri, come finirà la comunicazione umana? Con la solita onomatopea: un extra “Bang!”. Come fu in principio …

Gli esempi portati da Lanterna sono un migliaio, ben descritti sia da un punto di vista linguistico che letterario. Sono parole o gruppi di parole che riproducono o evocano un suono particolare. Figure retoriche che si basano sul fonosimbolismo, ovvero la capacità dei suoni di evocare significati.

Possono essere di origine naturale o artificiale. Le prime si verificano in natura, come il verso degli animali, il rumore del vento o il crepitio del fuoco. Le seconde, invece, riproducono suoni prodotti dall’uomo, come il rombo di un motore o il ticchettio di un orologio.

Le onomatopee sono utilizzate ormai ovunque, per creare un effetto sonoro particolare, per rendere il testo più coinvolgente o per evocare un’atmosfera particolare, per rendere il testo più realistico o per trasmettere un’emozione, per attirare l’attenzione del pubblico o per rendere il messaggio più memorabile. Ognuno sceglie la sua onomatopea. Io ne amo una in particolare che il Lanterna non elenca nella sua ricerca.

La pernacchia (o il pernacchio). Maschile o femminile, ha tutto il diritto di essere considerata una onomatopea. La parola “pernacchia” riproduce abbastanza fedelmente questo suono, con la combinazione delle consonanti “p”, “n” e “ch” che rappresentano la chiusura e l’apertura della bocca e la vocale “a” che rappresenta il suono prodotto dalla vibrazione tra le labbra e la lingua.

Il Maestro fu Totò, per questa ragione è stata considerata un’arte: L’arte della “prrrrrrrrrr!” Un omaggio sonoro emesso dalla bocca in modo rotondo e vibrante, tanto da suscitare contemporaneamente ilarità in chi la pratica e visibile scorno, imbarazzo nella persona che la riceve. Forse sarà proprio l’onomatopea finale …

MEDIUM - https://angallo.medium.com/patatrac-tutto-finir%C3%A0-com%C3%A8-iniziato-con-una... ( )
  AntonioGallo | Dec 13, 2023 |
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Titolo canonico
Titolo originale
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Redattore editoriale
Elogi
Lingua originale
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Descrizione del libro
L'onomatopea è massicciamente utilizzata nel fumetto, nella pubblicità, nella canzone, nel linguaggio giovanile e graffitaro e anche nell'arte, ma fino a questo momento non aveva ancora in italiano un “proprio” dizionario. Questo è avvenuto perché l'imitazione dei rumori mediante il linguaggio è una specie di cenerentola della lingua italiana: nei grandi dizionari si perde tra le migliaia di voci, i grandi scrittori l'aborrono, per le persone comuni è una “bambinata”, mentre la scrittura tecnica nemmeno sospetta che esista. Eppure non fu sempre così: l'onomatopea ebbe una breve, ma intensa, stagione letteraria ai primi del Novecento, con Pascoli, Palazzeschi, Marinetti e il Futurismo. Filosofi e linguisti da sempre la guardano come una delle possibili matrici del linguaggio, nonché fonte di arricchimento delle lingue, mentre l'imitazione onomatopeica dei versi animali ne fa forse l'ultima lingua di Re Salomone. Per traslato l'onomatopea accomuna tutti i popoli, è trasversale alla comprensione del linguaggio e insieme ai gesti è forse l'unica vera lingua che permette un dialogo universale. Questo dizionario enciclopedico – il primo della lingua italiana interamente dedicato all'onomatopea – registra circa 1000 voci (oltre a nomi, idee, curiosità) nel tentativo di mapparne il vasto impero: dell'onomatopea esalta la qualità letteraria attraverso citazioni d'autore, e la ricchezza fonetica spesso inavvertita, serbando vero brio nelle definizioni, mai accademiche o pedanti, ma illuminanti per i continui parallelismi e collegamenti tra pensiero, azione e parola. Mentre nelle altre nazioni esistono dizionari onomatopeici, l'Italia – che è stata un modello con il Vocabolario della Crusca – vi giunge ultima. Un divario che PATATRAC vuole colmare, facendo finalmente calzare a quella riottosa cenerentola la sua scarpetta di regina
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