Forse solo i primi grandi film in technicolor - quelli con Zsa Zsa Gabor, Dolores Del Rio, Ava Gardner - possono rendere l'idea di quella singolare commistione di realtà e finzione, di artificio e autenticità che emerge irresistibile dalla ricostruzione della breve e intensa vita di Porfirio Rubirosa. Non a caso tra gli amori del diplomatico dominicano e playboy internazionale che uscirà definitivamente di scena una notte del luglio 1965, schiantandosi con la Ferrari contro un albero del Bois de Boulogne, a Parigi, figurano le attrici citate e le altre, protagoniste dentro e fuori lo schermo di un modo di vivere certo già allora sottoposto agli imperativi della pubblicità, ma in cui era ancora possibile correre il rischio della trasgressione e del dispendio senza limiti. 'Incarnazione del machismo', secondo la definizione ammirativa che di lui dette la Gabor, paradossalmente Porfirio Rubirosa non è molto diverso dalle sue vittime, o complici. Tra un'ambasciata e un casinò, tra un grande albergo e un hotel particulier, tra un campo di polo e una pista da cui prendere il volo con il B -25 regalatogli dall'ex moglie e miliardaria americana Barbara Hutton, Porfirio Rubirosa pur restando una delle ultime reincarnazioni del dandy, vive come un prodotto della cultura di massa.